Indubbiamente il G7 che inizia oggi, comunque vada, sarà uno spot incredibile per la Puglia e, ancor di più, Borgo Egnazia, la masseria che lo ospiterà (non che il resort ne abbia bisogno, visto che già ora è uno dei più gettonati da vip provenienti da tutto il mondo).
Tanti, peraltro, saranno i temi al centro del summit, a partire dalla situazione geo-politica (non a caso parteciperà, ad una parte del meeting, in maniera del tutto eccezionale, Papa Francesco, oltre al Presidente ucraino Zelensky), a cui si aggiungeranno i temi economici, quelli legati all’Intelligenza Artificiale (con la partecipazione dell’AD di Microsoft, Satya Nadella), senza dimenticare il sociale e i diritti civili.
Un “rito”, quello che vede l’Italia in veste di organizzatrice, che arriva in un momento molto particolare della vita politica di alcuni dei Paesi partecipanti, con i propri leader che arrivano all’appuntamento un po’ “meno leader”. Gli effetti delle elezioni europee sono appena iniziati. In Francia il Presidente Emmanuel Macron è “condannato” a scommettere su nuove elezioni per salvare il salvabile; in Germania il Cancelliere Scholz, per il momento, seppur in evidente difficoltà, difende con i denti una alleanza di governo già di suo abbastanza fragile (è nota la distanza tra i partiti che la sostengono), resa ancor più debole dalla clamorosa avanzata della destra più estrema. In Gran Bretagna Sunak non se la passa molto bene e, quasi certamente, dopo le elezioni indette per il 4 luglio, sarà costretto a “passare la mano”. Biden, dal canto suo, è alle prese con una campagna elettorale tra le più difficili che si potessero immaginare, con i sondaggi che lo vedono al momento sconfitto: e non lo aiutano le diffuse preoccupazioni sul suo effettivo stato di salute, le vicende giudiziarie che riguardano suo figlio Hunter, ritenuto colpevole di alcuni reati legati all’uso di droga e alla detenzione di armi, la “spavalderia” di Trump, incurante (come peraltro il suo stesso elettorato) delle tante accuse che lo riguardano. A suo favore potrebbe giocare, invece, la situazione economica che stanno attraversando gli USA, anche se la percezione di molti cittadini statunitensi è di una crisi ancora persistente (pesano, in questo senso, i prezzi che continuano a rimanere sostenuti, anche se i dati pubblicati ieri dalla FED lasciano intravedere una morsa che inizia ad allentarsi). Praticamente, quindi, 4 leader su 7 sono in forte discussione (senza contare Ursula von der Leyen, le cui quotazioni, però, stanno risalendo).
“Pronti-via” e già si partirà, si può scommettere, affrontando un problema. E’ di ieri, infatti, la decisione della UE di innalzare le sanzioni sull’importazione di auto elettriche dalla Cina, portandole dal 10% sino ad un massimo del 48,1%, con una “scalettatura”, a seconda del produttore, dal + 17,4% al + 20% sino ad un massimo del + 38,1% (mediamente siamo al + 21%). Un passo probabilmente “ispirato” dall’imposizione, qualche settimana fa, di dazi, da parte degli USA, del 100%. La scelta della UE è stata dettata in conseguenza dei forti aiuti statali che lo Stato cinese ha deciso di attuate nei confronti delle case automobilistiche del Paese, passo che, come possiamo immaginare, offre uno straordinario vantaggio competitivo a quel settore (in Europa gli aiuti statali sono vietati e, comunque, soggetti ad una regolamentazione piuttosto severa). Infatti, secondo uno studio promosso dalla Commissione Europea, senza l’introduzione dei dazi sarebbero a rischio, nella sola UE, almeno 2,5 ML di posti di lavoro “diretti”, a cui se ne potrebbero aggiungere altri 10,3 ML considerando l’indotto. Nel periodo 2020-2023 la quota di mercato delle società di automotive comunitarie è passato dal 68,9 al 59,9%, mentre le importazioni dalla Cina sono salite dal 3,9% al 25% (più che sestuplicate quindi). Un aumento che potrebbe portare anchea “spedire” in Europa anche mano d’opera dedicata a scapito di forza lavoro europea.
Il paradosso è che buona parte delle case automobilistiche (BMW, Volkswagen, Stellantis) sono piuttosto critiche verso il provvedimento, giudicandolo inopportuno e non adeguato, quasi una “toppa” in mancanza di una precisa strategia industriale (da notare che proprio Stellantis, non più tardi di un mese fa aveva firmato un accordo mettendo a disposizione la propria rete di filiali europee – oltre 200 – per la vendita di auto elettriche della Leapmotor).
Ieri altra giornata “trionfale” per il listino tecnologico americano, con il Nasdaq al 15° record stagionale (ma lo S&P 500 è arrivato al 28°).
A spingere le quotazioni, dopo il “botto” di martedì (+ 7,2%) ancora una volta il titolo Apple: la casa di Cupertino è tornata di prepotenza ad essere la società più capitalizzata la mondo, toccando quota $ 3.300 MD, qualcosa come una volta e mezzo il PIL italiano. Una crescita, in 2 giorni, che ha superato il 10%: anche questo è un indice di quanto può valere l’AI.
La forza di Wall Street non è sufficiente, però, questa mattina a dare equilibrio ai mercati del Pacifico.
A Tokyo il Nikkei flette dello 0,40%; stessa sorte per Shanghai, in calo dello 0,33%.
Si distingue, invece, a Hong Kong, l’Hang Seng, in rialzo dello 0,57%.
In rafforzamento, a Seul, il Kospi (+ 1,4%) e, in apertura, il Sensex di Mumbai.
Positivi i futures sul Nasdaq (+ 0,77%); S&P 500 + 0,25%. Mentre sono appena deboli in Europa (– 0,10%).
Petrolio in leggera flessione, con il WTI a $ 78,24 (- 0,45%).
Gas naturale Usa a $ 3,031 (- 0,66%).
Nuovo passo indietro per l’oro, che arretra dell’1,15% ($ 2.330).
Spread sempre “in quota”, sopra i 140 bp: questa mattina ha aperto a 141,2 bp.
BTP in calo al 3,91%, dal precedente 4,06%.
Bund 2,51%.
Treasury 4,31%, ancora in diminuzione (- 9 bp).
Respira l’€, con €/$ che torna a 1,080.
Bitcoin sui livelli di ieri, a $ 67.449.
Ps: e quindi anche i “guru”, ogni tanto, “inciampano”. Magari non è un vero e proprio inciampo, però senz’altro qualcosa che gli assomiglia. Parliamo di Warren Buffet, fondatore di Berkshire Hathawai, una cassaforte con in pancia un portafoglio di circa $ 400 MD (190 MD solo di liquidità). Qualche settimana fa quello che è considerato il più grande investitore al mondo ha “fatto fuori” circa 125 ML di azioni Apple, ad un prezzo medio stimato di circa $ 180 per azione. Ieri il titolo ha toccato i $ 217, quindi una differenza di circa $ 37 per azione. Che portano ad un mancato guadagno di circa $ 5 MD (non per questo il “signore di Wall Street” è più povero…).