Ed eccoci, quindi, al “D-day”. C’è da dire che il 6 giugno si presta abbastanza alla ricorrenza: fino ad oggi questa data è ricordata per 2 eventi, entrambi collegati alla 2° Guerra mondiale. Quello più noto, il “D-day” per definizione, i cui festeggiamenti sono iniziati ieri e dureranno sino a domani, dello sbarco in Normandia delle Forze Alleate, avvenuto 80 anni fa, e un altro, meno noto, ma altrettanto decisivo, avvenuto 2 anni prima (6 giugno 1942), però a migliaia km di distanza, nel Pacifico (battaglia delle Midway, un atollo sperduto in mezzo all’oceano), in cui la Marina USA mise KO quella giapponese.
Al di là delle reminescenze storiche (peraltro senza quei “D-day” oggi probabilmente il mondo sarebbe un po’ diverso), il “qui e ora” è rappresentato dal nuovo d-day, quello che riguarda i mercati.
Il tempo dell’attesa, infatti, è finito: oggi la BCE dovrebbe (meglio usare il condizionale: uno dei proverbi più popolari recita “non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”, a significare che è meglio non dare mai nulla per scontato ed è meglio aspettare a cantare vittoria) confermare la decisione più “annunciata” di sempre, con il taglio dello 0,25%, per la prima volta dal 2019, e dopo che, dal 2022, per ben 10 volte abbia assistito a ritocchi all’insù.
Talmente annunciata che, a giudicare da quanto si nota sui mercati (Bank of New York Mellon, istituto noto per essere uno dei più grandi “custodi” al mondo di titoli “investibili”, soprattutto obbligazionari – si calcola che ne detenga circa il 20% – ci fa sapere che nelle ultime settimane sono aumentate, e non di poco, le vendite di bond societari europei), gli effetti sono già “tutti nei prezzi”: in sintesi, il taglio non dovrebbe produrre nessun effetto sui rendimenti, mentre l’eventuale (molto molto improbabile) “non taglio” quello sì che potrebbe essere un colpo da “ko”. Peraltro, qualcuno, tra i Paesi del G7, si è già mosso: la Banca Centrale del Canada, infatti, ha portato dal 5% al 4,75% il costo del denaro.
Gli operatori, quindi, sono “già oltre”. E’ certo che oggi, più che alla decisione della BCE, studieranno le parole della Lagarde, alla ricerca di “sfumature” che possano far capire quale realmente è la situazione e cosa ci potrà riservare il futuro in tema di inflazione e crescita (c’è da sperare che la Presidente non dia sfoggio di qualche “gaffe”, episodi che, in un passato neanche troppo lontano, l’hanno reso protagonista, come quando affermò che la missione della Bce non è quella di ridurre lo spread). E’ da lì che, probabilmente, i mercati capiranno quale futuro c’è da aspettarsi e, quindi, con che velocità e “profondità” verranno prese le decisioni future in tema di ribassi.
Il mercato, in Europa, si aspetta tra i 2 e i 3 tagli per lo 0,25% cadauno: quindi uno 0,75% in totale.
Qualche timido segnale di fiducia, negli ultimi giorni, è arrivato, con gli spread che sono, leggermente, tornati indietro: il bund, per es, è passato, nell’arco di 5 giorni, dal 2,68% al 2,50% di ieri. E il nostro BTP dal 4,01% toccato una settimana fa al 3,81% di ieri.
Ma, se sono veri i dati comunicati da New York Mellon, le cose potrebbero essere un po’ diverse, con attese, almeno sino a ieri, più orientate alla cautela, con un ritmo di discesa più lento e, conseguentemente, tassi alti e più a lungo, il famoso “higher for longer” che molti analisti hanno iniziato a stimare già da qualche mese dopo “l’ubriacatura” generale dell’ultimo bimestre dell’anno scorso, quando chi non prevedeva almeno 5 ribassi durante quest’anno era considerato un “pessimista cosmico”.
Non va poi dimenticato che sabato e domenica si svolgeranno le elezioni per rinnovare il Parlamento Europeo. Vero che le decisioni, in materia di politica monetaria, vengono prese a Francoforte, in assoluta autonomia rispetto all’Organo Politico, ma è anche vero che l’esito elettorale determinerà la nuova Commissione Europea (a proposito torna di attualità, ancora una volta, il nome di “Supermario” Draghi quale Presidente), che un ruolo non certo marginale avrà sull’andamento e sulle prospettive economiche dell’Area UE nei prossimi anni. Senza contare, sempre in tema geo-politico, le elezioni americane del 5 novembre, il vero “drive” di quest’anno, che una qualche influenza da questa parte dell’Oceano la produrranno.
In definitiva, oggi meglio tenere le bottiglie di champagne in frigo e attendere momenti più particolari per brindare, senza lasciarsi andare all’euforia, ma neanche farsi assalire da preoccupazioni, per il momento, non attuali.
Ieri giornata trionfale per i listini di mezzo mondo. A Wall Street il Dow Jones ha chiuso a + 0,25%, ma il Nasdaq, con + 2,04%, ha ottenuto una delle migliori performance dell’anno, trascinato da Nvidia, ormai prossima ai $ 3.000 MD di capitalizzazione. S&P 500 + 1,2%, al 25° record nel 2024.
Questa mattina i mercati asiatici non sembrano “tenere il passo” di quelli USA: solo il Nikkei, infatti, tra quelli più importanti, da segnali di forza, a + 0,55%.
Hang Seng di Hong Kong a – 0,12%, mentre Shanghai arretra dello 0,76%.
Timido rialzo per la borsa di Mumbai, dopo gli scivoloni dei giorni scorsi.
Futures poco mossi, con variazioni marginali.
Sul fronte delle commodities, si ferma la discesa del petrolio, con il WTI che, questa mattina, recupera lo 0,41% a $ 74,44.
Gas naturale Usa a $ 2.76, – 0,11%.
Oro che si riporta “sotto”, mettendo nuovamente nel “mirino” $ 2.400: questa mattina siamo a $ 2.384, + 0,29%.
Spread a 129,6.
BTP a 3,81%.
Bund 2,51%.
Treasury 4,29%.
Bitcooin che, dopo aver superato i $ 71.000, con 5 giorni di rialzi consecutivi, questa mattina è tornato a $ 70.839.
Ps: vero che le aspettative, anno dopo anno, si stanno allungando e oggi a 60 e più anni si è ancora “diversamente giovani”…però diventare mamma a 63 anni (che saranno 64 ad ottobre) forse è una sfida un po’ troppo forte (e non solo per una pura “legge naturale”). Però è quanto è successo in Versilia, dove, all’ospedale di Camaiore, una signora di quell’età, dopo l’inseminazione artificiale avvenuta in Ucraina (in quel Paese non esistono restrizioni) ha data alla luce un bambino.