Secondo la tradizione, inizia oggi l’equinozio di primavera. In realtà le cose non stanno proprio così, essendo il “giorno giusto” il 20 marzo (per gli amanti della precisione si sa anche “l’ora esatta”: le 4,06). Ma, per convenzione, la data di avvio della stagione primaverile, come detto, è il 21 marzo.
La “primavera” dei mercati, invece, è iniziata oramai da circa 18 mesi (possiamo dire dal mese di settembre 2022), con un andamento piuttosto regolare, fatto salvo, come in ogni primavera che si rispetti, qualche “temporale” (il più intenso quello che si è verificato tra inizio luglio e metà ottobre dell’anno scorso, che, in realtà, ha “messo le basi” per il nuovo allungo dei mercati, con prove di forza quasi quotidiane).
In questo periodo si è detto di tutto e di più: si è passati dalla quasi certezza di una imminente recessione (fase economica che si è quasi sempre verificata ogni volta che le Banche Centrali hanno “armato” il bazooka dei tassi per bloccare – non sul nascere però – l’inflazione) all’altrettanto quasi certezza che la recessione non arriverà (oggi solo un modestissimo 11% di analisti pensa che possa verificarsi, con oltre il 65% convinto che non solo non ci sarà ma che l’economia continuerà a crescere, mentre un altro 24% pensa che ci sarà un rallentamento morbido), che le stesse Banche Centrali avrebbero dato il via al “festival” dei tagli (tra ottobre e dicembre venivano dati per molto probabili non meno di 5 tagli – ma qualcuno ne ipotizzava addirittura 7 – solo nel 2024), con una riduzione intorno ai 150 bp, che l’inflazione, la regina di tutti i mali, sarebbe “crollata”, ritornando su livelli tali da non destare più alcuna preoccupazione, sconfitta, appunto, dalle politiche monetarie.
Come il 24 febbraio 2022 ha cambiato lo scenario geo-politico europeo (per non dire mondiale), altrettanto, se non ancora di più, si può del 7 ottobre 2023, data del massacro compiuto da Hamas nei territori israeliani attorno alla striscia di Gaza, dando inizio ad una crisi potenzialmente gravissima, in grado di modificare drammaticamente gli equilibri non solo in medio-oriente. Vicende che, in altri momenti, avrebbero potuto “stoppare” sul nascere qualsiasi velleità dei mercati, scatenando la corsa verso i beni rifugio e allontanando senza scampo gli investitori dal “rischio”. Quasi paradossalmente, l’attacco del gruppo terroristico palestinese è avvenuto pochi giorni prima che i mercati riprendessero con decisione la loro crescita, che ha convolto, e sta coinvolgendo, anche se oggi con qualche differenza rispetto all’autunno, un po’ tutte le asset classes.
Negli ultimi anni ci eravamo abituati, almeno per quanto riguarda le vicende economico-finanziarie, ad una sorta di “tanto peggio, tanto meglio”: più i dati macro erano preoccupanti (produzione in calo, disoccupazione in aumento, pil in restringimento) più i mercati reagivano positivamente, sulla convinzione che le autorità monetarie sarebbero intervenute (come effettivamente successo) per sostenerli. Poi è arrivata la “bomba inflattiva”, che ha stravolto lo scenario, dando vita, in un periodo temporale mai così breve, al maggior rialzo dei tassi da quasi 50 anni a questa parte. Per un certo periodo, ogni riunione dei Comitati direttivi delle Banche Centrali era vissuta con aspettative altissime: e se le decisioni non risultavano in linea con le aspettative, si potevano generare umori ben diversi.
Oggi le cose sembrano aver preso un indirizzo diverso, come se l’emotività fosse stata messa in un cassetto e non disturba più di tanto il sonno degli investitori. Idem si può dire delle vicende geo-politiche: la guerra in Ucraina continua, con il Paese invaso, e Zelensky, che stanno attraversando forse il periodo più difficile (e la fine dell’inverno potrebbe ulteriormente aggravare la situazione), senza che, per il momento, si faccia largo l’ipotesi di una vera trattativa di pace. In Medio oriente Israele continua a confermare di voler eliminare in maniera definitiva Hamas, senza apparenti scrupoli verso la popolazione civile e rischiando un isolamento totale, anche rispetto ai tradizionali alleati. E se, per un certo periodo, erano tornate le preoccupazioni legate al blocco, anche se parziale del Canale di Suez, con gli impatti a tutti noti sulle rotte navali e le conseguenti ricadute sull’economia globale, oggi non se ne ha traccia sui media.
Ieri la FED ha, di fatto, confermato, attraverso le parole di Jerome Powell, che, nel corso dell’anno, i tagli saranno 3 (circa la metà di quanto si pensava, come detto, in autunno), fermandosi allo 0,75% (per cui i tassi di riferimento USA dovrebbero passare dall’attuale 5,25/5,50% al 4,50/4,75%). La reazione, dall’altra parte dell’oceano, è stata quasi scontata: ennesimo record per lo S&P 500 (+ 0,90%, 5.224 punti) e il Dow Jones (+ 1,03%, 39.512 punti), con il Nasdaq a meno di 1 punto percentuale dal suo record. I mercati, quindi, è come se fossero tornati ad essere guidati dall’economia reale e non solo dalle politiche monetarie: in altre parole, se la principale autorità monetaria al mondo (la Fed, appunto) decide, ancora una volta, di stare ferma, vista “l’appiccicosità” dell’inflazione, e non ha paura di “congelare” la crescita, ciò significa che la forza dell’economia è maggiore di qualsiasi timore ed è in grado di sopportare, ancora, un livello di costo del denaro che, comunque, drena le risorse finanziarie di famiglie e imprese.
Qualcosa di simile sta avvenendo anche dalle nostre parti, per quanto l’economia UE abbia un andamento un po’ più problematico rispetto a quello USA. Christine Lagarde, infatti, sulla falsariga di Powell, ha confermato che, salvo imprevisti, si parlerà di tagli a partire dal mese di giugno, andando quindi (come quasi sempre) a braccetto con la Banca americana. Nel caso, poi, dei mercati europei, va notato che oggi sono rimasti un po’ indietro rispetto a quelli USA, per cui, si fa largo l’idea che, da qui in avanti, possano ridurre il gap.
La giornata asiatica lascia poco spazio ad interpretazioni negative.
L’indice MSCI Asia Pacific guadagna oltre il 2% sostenuto a Hong Kong dall’Hang Seng (+ 2,03%) e, a Tokyo, dal Nikkei (anche lui + 2,03%). In rialzo i listini di Seul (+ 2,04%) e Taiwan (+ 2%).
Unica eccezione, per il momento, Shanghai, appena sotto la parità (– 0,10%).
Futures ovunque in significativo aumento, con rialzi compresi tra lo 0,5 e lo 0,9%.
Petrolio stabile, con il WTI a $ 81,76.
Gas naturale a $ 1,709.
Strappo dell’oro, che si porta su vette altissime ($ 2.211, + 2,23%): la conferma dei tagli dei tassi è il vero “propellente”, più che le crisi geopolitiche.
Spread a 124 bp, con il BTP al 3,70%.
Bund sempre in area 2,46%.
Treasury al 4,26%.
In rialzo l’€, con €/$ a 1,093.
Rimbalza il bitcoin, che si riporta oltre quota $ 67.000 (67.240).
Ps: per anni il “nucleare” era il male assoluto (il ricordo di Hiroshima era dietro l’angolo), soprattutto nel nostro Paese. Oggi, forse, le cose cominciano ad essere viste con occhi diversi: ci sono Paesi in cui oggi gran parte dell’energia prodotta arriva dalle centrali nucleari (il caso più eclatante è la Francia, la cui energia arriva, per il 70%, da ben 56 centrali nucleari presente nel Paese). Ma l’elenco, per rimanere all’Europa, è molto folto: la Germania ha 3 centrali, il Belgio 6, la Spagna 7, la Svizzera (!) 4, la Gran Bretagna 11, il Belgio 6. E noi? Zero. Altro che indipendenza energetica.