Nel 2023 il costo del debito italiano è stato di € 78,4 MD. Per quest’anno la spesa per interessi è previsto che salga a € 89 MD. E nel 2026 dovrebbe valicare la soglia non solo “psicologica” di € 100 MD (103,6). Numeri impressionanti, per quanto tutto, nella vita, possa essere considerato relativo (gli USA, con un debito pubblico oramai intorno ai $ 34.000 MD, viaggiano alla velocità di circa $ 1.000 MD di spesa per interessi: ma quello è un mondo a parte, nel bene e nel male).
Rimanendo al nostro “orticello”, si può realisticamente pensare, con un margine di errore piuttosto esiguo, che in 3 anni lo Stato spenderà, € più € meno, € 271 MD solo per pagare il debito. A cui potremmo aggiungere il maggior debito per il superbonus edilizio, quantificabile in circa € 30 MD annui di crediti fiscali, solo in parte (piuttosto modesta) coperto dalle maggiori entrate fiscali e dalla spinta alla crescita (come successo, per es, nell’ultimo trimestre del 2023, in cui il comparto edilizio è tornato a crescere del 4,7%). 270 MD sono una montagna di soldi (il PNRR di matrice europea ne vale, per quanto ci riguarda, circa 200). Ma questo è il prezzo che dobbiamo pagare per “tenere” in piedi il nostro Paese. Quello che, non da ieri, continuano a dirci le Istituzioni di qualsiasi genere: l’unico modo per renderlo sostenibile è far crescere l’economia ad un ritmo superiore. Cosa non semplice per un Paese abituato a ritmi dell’1% o giù di lì. Non può che far bene, quindi, apprendere che l’Istat ha rivisto il rapporto debito/PIL in meglio, portandolo dal 140,5% al 137,3%: una percentuale indubbiamente sempre alquanto preoccupante, ma che lascia spazio al “pensiero positivo”. Nell’arco di 4 anni, dal picco del 2020, il rapporto è calato del 17,4%. Ben lontano da altri Paesi, considerati, da un punto di vista economico, di “serie B” (per fare degli esempi, la Grecia lo ha ridotto del 46,1%, Cipro del 36,5%, il Portogallo del 31,5%), ma ben oltre rispetto ad economie invece ritenute più forti (la Germania si è fermata ad un ben più misero 4%, la Francia al 5%) o verso altre più vicine a noi (come la Spagna, in calo del 12,8%).
Di certo non è “oro tutto quel luccica”: non va dimenticato, infatti, che una grossa mano ce l’ha data l’inflazione. Un’alta inflazione “spinge” non poco il PIL, mantenendo inalterato il valore nominale del debito, aiutando in maniera più evidente i Paesi con un forte debito. Con il ritorno dei prezzi ad un livello più sostenibile (e la discesa, come sappiamo, non è ancora terminata) il vantaggio “artificioso” si fa un giorno dopo l’altro meno evidente, mettendo a nudo le nostre criticità: appunto bassa crescita ed elevato costo del debito. Costo del debito che ha raggiunto, nel 2023, almeno per quanto riguarda le nuove emissioni, un picco del 3,76%, percentuale che si è leggermente ridotta in questi primi 2 mesi dell’anno, scendendo intorno al 3,60%. Dopo la clamorosa discesa partita da fine ottobre, che ha portato il rendimento del nostro decennale dal 4,95% all’attuale 3,80% circa, peraltro il ribasso si sembra al momento arrestato (anzi, a dire il vero sulle durate brevi – entro i 24 mesi – nelle ultime settimane si è assistito addirittura ad un rialzo neanche troppo marginale (oggi siamo intorno al 3,40%).
Quando si tocca l’argomento “tassi” è impossibile non parlare di spread. E qui appare, in tutta la sua evidenza, la criticità del nostro Paese. Possiamo, infatti, definire lo spread come l’unità di misura non solo della solidità (prima di tutto economico/finanziaria, ma anche “strutturale”) di un Paese, ma forse ancor di più delle sue prospettive di crescita. Vedere che siamo il “fanalino di coda” dell’Europa significa che le cose da fare, evidentemente, sono davvero tante. Per quanto oggi siamo ai livelli più bassi da circa 2 anni (siamo in area 140 bp), veniamo ben dopo la Francia (47 bp), Portogallo (65 bp), Spagna (85 bp) e ben sopra la tanto vituperata Grecia (99 bp). Qualche progresso, indubbiamente, è stato fatto (da inizio anno abbiamo ridotto la “forbice” di 28 bp) ma questo, più che da nostri meriti, sembra dipendere dalla particolare congiuntura tedesca (la Germania, come sappiamo, è in recessione tecnica, vale a dire arriva da 2 trimestri consecutivi di crescita negativa).
Nella logica del “bicchiere mezzo pieno”, spread più alto significa rendimenti maggiori, e quindi più facilità, per il nostro Tesoro, a collocare il debito (come dimostra il clamoroso successo dell’ultima emissione del BTP Valore, con oltre € 18,3 MD raccolti in 5 giorni). La ricerca di rendimento da parte di tutte le componenti del mercato (retail, Istituzionali, Asset manager), abbinata alla “sicurezza” dell’investimento (il nostro Paese, per ragioni anche di “dimensioni del debito”, è ritenuto un “porto sicuro”) continuerà, infatti, a rendere più agevole l’attività del Tesoro, sostenendo la domanda di Titoli di Stato. In un contesto di mercato in cui la liquidità rimane a livelli molto elevati, a cui si deve aggiungere una considerazione più “tecnica”, dettata dallo spostamento, piuttosto probabile, di asset attualmente allocati in strumenti monetari verso la componente obbligazionaria, in grado di remunerare meglio il portafoglio.
Mercati asiatici ancora una volta un po’ “disallineati”.
A Tokyo il Nikkei sembra essersi preso qualche giorno di pausa: anche oggi, infatti, rimane intorno alla parità (– 0,02%).
Shanghai sembra vivere nell’attesa della conferenza stampa che chiuderà i lavori dell’annuale Congresso Nazionale del Popolo, in cui si dovrebbe annunciare un piano di stimoli per favorire la ripartenza dell’economia. Al momento l’indice fa segnare – 0,26%.
Ben diversa la “musica” ad Hong Kong, dove l’indice Hang Seng sale di circa 2 punti percentuali sotto la spinta del settore tech (peraltro ieri “responsabile” dello scivolone).
Ieri sera, a Wall Street, seduta di prese di beneficio, con il Nasdaq in arretramento dell’1,7% e il Dow Jones a – 1,04%.
Futures in moderato rialzo su entrambe le sponde dell’oceano.
Petrolio poco mosso, con il WTI a $ 78,64 (+ 0,51%).
Gas naturale Usa a $ 1,942 (- 0,97%).
Oro sempre nelle vicinanze del massimo storico, a $ 2.138 (- 0,25% l’apertura di questa mattina). A favorire l’alto livello dei prezzi le tensioni geopolitiche e, soprattutto, le attese di ridimensionamento dei tassi.
Spread ancora in ribasso, a 137,8 bp.
BTP al 3,70%, dal 3,80% del giorno precedente.
Bund al 2,33%.
Treasury 4,14% (- 7 bp).
€/$ a 1,0867, con il biglietto verde in leggero indebolimento.
Montagne russe per il bitcoin. Dopo che nella giornata di ieri aveva ritoccato il massimo storico, a $ 69.200, nella tarda serata era sceso sin verso i $ 62.500, mentre questa mattina è rapidamente risalito a $ 66.700.
Ps: ha suscitato una grande polemica, nei giorni scorsi, il risultato di un test “pre-esame”, all’Università del S. Raffaele di Milano, di Microbiologia. Su 408 studenti che hanno sostenuto la prova, solo 10 l’hanno superata. A dare ancora più risalto alla vicenda il fatto che a dirigere l’Istituto di Microbiologia è il Prof. Roberto Burioni, ormai noto “volto televisivo”. Che, a distanza di qualche giorno, ha replicato alle polemiche dicendo che le domande non erano così difficili e che sarebbe stato sufficiente studiare…Come sono lontani i tempi in cui gli esami e i test si facevano senza la “avvolgente” presenza dei social.