Se l’Europa ha un “grande malato” (la Germania), anche il mondo non è da meno. E’ acclarato, infatti, che la Cina faccia fatica a “tenere il passo”: oramai la crescita a tassi del + 10% medio annuo, che avevano contraddistinto l’economia del Paese nella prima decade del nuovo millennio, sono un lontano ricordo. Nel 2023 si è viaggiato ad una “velocità di crociera” intorno al 5% (5,2 ad essere precisi), il livello più basso da molti anni. E quest’anno le cose potrebbero andare ancora peggio, con una proiezione che posiziona il rialzo intorno al + 4,7/8% (ma la Banca Mondiale prevede sarà intorno al 4,5%, mentre l’OCSE addirittura non va oltre il 4,1%).
Numeri che, ancora una volta, non solo si “contano” ma si “pesano”: se non altro perché parliamo della 2° economia mondiale. Si prevede, quindi, che il “contributo” del gigante asiatico al PIL globale (stimato al + 2,7%) potrebbe essere intono a 0,6/0,7 decimali.
Diverse sono le problematiche con cui deve fare i conti l’economia cinese, a partire da quello demografico. La prima conseguenza è aver perso la leadership come Paese più popoloso al mondo, a scapito dell’India: un dato che, a prima vista, potrebbe sembrare semplicemente statistico, ma che, invece, racchiude buona parte delle difficoltà che il Paese sta incontrando. Si calcola che da qui al 2035 oltre il 30% dei cinesi (quindi oltre 400 ML di persone) avrà più di 60 anni. Pensiamo all’impatto che tali numeri possono avere sulla Previdenza Sociale del Paese.
Ma non solo: secondo alcune proiezioni, alla fine del secolo la popolazione cinese potrebbe essere abbondantemente inferiore al miliardo di persone. Sempre in ordine alla demografia, la disoccupazione giovanile si attesta, oggi, oltre il 20% (giovani in età compresa tra i 15 e i 24 anni): si parla, quindi, di qualche decina di milioni di ragazzi (tanto per dare un ordine di grandezza, solo nel 2023 si sono laureati, in Cina, oltre 11.580.000 studenti).
Numeri che, in Italia, conosciamo piuttosto bene, con cui ci troviamo da anni a combattere. Con una piccola differenza: noi non siamo neanche 60 ML di persone, là sono vicine a 1,4 MD.
C’è, poi, il problema immobiliare. In questi anni si è assistito, in Cina, ad una crescita immobiliare vertiginosa, con città nate dal nulla e megalopoli sempre più estese. Il settore era arrivato a pesare oltre il 30% del PIL, percentuale che ora si è ridotta al 20%. Tutti, oramai, conosciamo Evergrande, tra i più grandi sviluppatori del Paese, oramai “scomparsa” dai radar, schiacciata da oltre $ 325 MD di debiti. Proprio in questi giorni, la Banca Centrale ha ridotto il tasso primario sui prestiti (Loan prime rate, LPR), il tasso di riferimento per gli operatori del settore, portandolo, sulle durate 5 anni, dal 4,20% al 3,95% (mentre è rimasto invariato quello a 1 anno, al 3,45%). Un intervento che conferma le difficoltà in cui versa tutto il settore, con un impatto non lieve (visto l’indebitamento in cui si trovano molte famiglie) sui consumi.
Arriviamo, così, al terzo problema, vale a dire la stagnazione dei consumi. Con la conseguenza che non si parla più di inflazione, ma di deflazione, con i prezzi che continuano a scendere. Forse un dato può aiutare a comprendere (oltre al fattore demografico a cui si faceva cenno), il motivo per cui in Cina i consumi languono: il debito totale complessivo (pubblico e privato) ormai supera i $ 50.000 MD (52.000 MD a metà 2023 ). Vale a dire ben il 280% del PIL. Numeri che strozzerebbero qualsiasi economia, per cui non ci si deve stupire più di tanto se oggi la Cina si è un po’ “europizzata”.
In ultimo si è aggiunto il calo del commercio internazionale. La Cina, negli ultimi decenni, è forse il maggiore esportatore di manufatti al mondo. A distanza di 4 anni dalla pandemia, a fatica stava uscendo dall’isolamento a cui, come il resto del mondo, è stato costretta (con tempi ben più lunghi, viste le drastiche modalità con il cui il Governo ha affrontato il problema), oltre ai be noti “colli di bottiglia” causati dall’ingolfamento della domanda. Ora, con la nuova crisi del Canale di Suez, che ha fatto decollare i costi dei trasporti marittimi (noli, assicurazioni, carburanti), il problema, almeno in parte, potrebbe riproporsi, portando ad un nuovo rallentamento della crescita.
Ieri listini americani in calo. Più marcata la discesa del Nasdaq (- 0,97%), mentre il Dow Jones ha “limitato” i danni, fermandosi a – 0,17%. S&P 500 – 0,60%.
Continua la pausa, a Tokyo, dell’indice Nikkei, al secondo giorno di ribasso (– 0,26%).
In ripresa Shanghai (+ 0,97%), mentre a Hong Kong l’Hang Seng arriva a sfiorare il + 2% (+ 1,91%).
In leggero calo l’indice australiano (– 0,66%).
Futures appena sotto la parità negli Usa, mentre in Europa i segnali sono positivi (comunque con rialzi moderati).
Ieri leggero ridimensionamento per il petrolio, con il WTI a $ 77,21 (questa mattina + 0,13%).
Si riprende il gas naturale Usa, che rimbalza di oltre il 7% ($ 1,694, + 7,23%).
Oro a $ 2.040,80.
Spread che non si muove dai 148 bp, per un BTP al 3.86%
Bund 2,38%.
Treasury sempre al 4,28%.
Leggero rafforzamento dell’€, con l’€/$ a 1,081.
Lieve indebolimento per il Bitcoin, a $ 51.696,50.
Ps: nei giorni scorsi, un Tribunale americano ha condannato Donald Trump al pagamento di una multa di $ 450 ML (compresi gli interessi) per aver falsificato dei dati di bilancio di alcune sue società per poter usufruire di finanziamenti bancari a condizioni migliori. Il patrimonio del “tycoon” è stimato in circa $ 2.7 MD, però in buona parte immobilizzato (e quindi poco liquido). Da qui il sospetto che la sanzione potrebbe creargli qualche “problemino”. Chissà se è anche per questo che ha deciso di finanziare, almeno in parte, la propria campagna elettorale promuovendo delle sneakers con il suo marchio, e riprendendo i colori della bandiera Usa. Sneakers vendute ad un prezzo non certo alla portata di tutti ($ 399). Andate peraltro subito a ruba (la “pirma edizione”, 1.000 paia, è andata esaurita in un attimo).