Il Festival di Sanremo, che ha catalizzato per quasi una settimana l’Italia (arrivando a toccare uno share più che “bulgaro”, superiore al 70%), sembra quasi un medicinale “a lento rilascio”. Definirlo unicamente una manifestazione canora è piuttosto riduttivo, essendo ormai diventato uno specchio del nostro Paese: la musica da sempre è un “manifesto” del tempo che viviamo, rappresentando in molti casi la realtà e i drammi che, spesso, siamo chiamati a testimoniare. Ogni parola, ogni nota, ogni pensiero, da quel palcoscenico, ha un eco che nessun’altra manifestazione è in grado di offrire. Le polemiche, quindi, proseguono, forse ancora più accese, rendendo il “dopo festival” motivo di scontro politico: dopo la parentesi dei “trattori” (è grazie anche al risalto ottenuto la settimana scorsa se oggi un accordo appare più vicino), l’attenzione si è spostata dalle vicende economico-finanziarie a quelle che riguardano, ancora una volta, il “controllo” della comunicazione, con la TV pubblica nuovamente nell’occhio del ciclone, schiacciata tra chi ritiene che debba essere espressione della linea di governo e chi, invece, sostiene che debba dare “pari dignità” a tutte le opinioni. Senza dubbio ci ha ricordato come, più della crisi economica e la precarietà che ne può derivare, oggi ciò che più preoccupa e spaventa siano guerre che non si limitano a scontri tra eserciti, per quanto dolorosi possano essere, ma arrivano a colpire in maniera massiva popolazioni inermi. E il fatto che siano piuttosto vicine a noi le rende ancora più gravi e drammatiche.
Fermo restando gli aspetti umanitari, sappiamo come le guerre siano un elemento imprescindibile rispetto agli andamenti economici che si possono verificare.
Allo stato attuale, peraltro, nessuno dei 2 conflitti su cui si stanno concentrando le diplomazie non sembra, da un punto di vista prettamente economico, destare particolari preoccupazioni. In questa fase quello su cui si concentra maggiormente l’attenzione, evidentemente, è quello in Medio oriente, se non altro per le maggiori implicazioni che può avere a livello globale in termini di traffico merci. E’ indubbio, comunque, che, per quanto le elezioni americane siano ancora lontane 9 mesi, se le cose sui 2 fronti non dovessero cambiare, lo scenario, nel caso Trump dovesse tornare nello studio ovale, potrebbe subire drastici mutamenti (come le recenti parole dell’ex Presidente in merito alla Nato lasciano chiaramente intendere).
I mercati, quindi, al momento continuano a ritenere che l’economia possa superare questa fase senza cadere in recessione (per qualcuno senza neanche passare attraverso un “soft landing”, anche se, di fatto, l’Europa probabilmente già si trova in questa situazione, vista la modesta crescita di diversi Paesi, senza considerare la “pesantezza” della Germania), mentre i prezzi dovrebbero continuare la loro discesa, avvicinandosi sempre di più al target del 2%. Un livello a cui l’Europa si sta avvicinando sempre più, visto che ormai siamo sotto il 3%. Discorso ancor più valido per nostro Paese, che si ritrova, oggi, ad avere un’inflazione inferiore anche all’1%, avvicinandoci quasi ad una deflazione. Anche per questo, nel suo recente intervento al Forex, il Convegno che ha riunito a Genova, lo scorso fine settimana, gli operatori valutari, Fabio Panetta, il nuovo Governatore della Banca d’Italia, ha auspicato un taglio dei tassi, da parte della BCE, a breve. A suo dire, i rischi di un colpo di coda dell’inflazione sono alquanto remoti e una prolungata attesa potrebbe avere conseguenze certamente gravi per la vita economica.
Una certezza, quella sulla discesa dell’inflazione, che lo ha portato ad affermare che, parlando sempre del nostro Paese, sarebbe auspicabile un aumento dei salari, un fattore determinante per alzare i consumi delle famiglie e, quindi, dare una “spinta” alla crescita (è noto che uno dei motivi che può portare ad una crescita pericolosa dei prezzi sia l’adeguamento salariale: fare un’affermazione di questo tipo, pertanto, significa da una parte che, in Italia, i salari sono rimasti più indietro rispetto ad altri Paesi e che, in secondo luogo, un loro aumento è “fisiologico” e quindi assolutamente normale, senza alcun impatto sull’inflazione).
Probabile, comunque, che l’attesa per vedere muoversi la Lagarde possa protrarsi sino alla tarda primavera, salvo evidenze di rallentamenti ben più evidenti nelle prossime settimane.
Continua la settimana “festiva” per molti mercati asiatici, in concomitanza del Capodanno cinese.
Chiuse Hong Kong e Shanghai, riapre con il “botto” il Nikkei di Tokyo, che si appresta a chiudere vicino al + 3% (2,89% in questi minuti).
In rialzo anche il Kospi di Seul, così come il Sensex di Mumbai (+ 0,5%).
Futures marginalmente sotto la parità sulle due sponde dell’oceano.
In ripresa il petrolio, con il WTI che si porta a $ 77,33 (+ 0,44% questa mattina).
Nuovo calo per il gas naturale Usa, sceso a $ 1.781 (anche lui in leggera ripresa questa mattina, + 0,51%).
Oro a $ 2.039.
Recupera lo spread, sceso a 153,2 bp.
BTP in leggero recupero, a 3,90%.
Bund a 2,36%.
Treasury Usa 4,18%.
Stabile l’€/$, a 1,0775.
Non si ferma il rialzo del bitcoin, che ieri ha superato la barriera dei $ 50.000 (50.096 questa mattina, dopo che nella notte aveva toccato i $ 50.500).
Ps: tragedia nel mondo dello sport. E’ morto, all’età di 24 anni, in un incidente automobilistico avvenuto in Kenya, Kelvin Kiptum, ritenuto il maratoneta più forte al mondo. Il primo ritenuto in grado di portare il tempo per correre i km 42,195 sotto le 2 ore (il suo record era di 2h00’35”), un tempo da molti ritenuto “non umano”. Morto a 24 anni, in un incidente d’auto, come era capitato a James Dean (che però stava correndo con una Porsche spider, e non guidando un’utilitaria come il giovane keniano).