In economia, da diversi anni è molto diffuso l’uso di acronimi per definire particolari andamenti finanziari piuttosto che Paesi accomunati da situazioni simili.
Uno dei più noti, nato negli anni 90 del secolo scorso, quello che riunisce alcuni Paesi del sud-Europa, e che prende il nome di PIGS (nell’ordine Portogallo, Italia, Grecia, Spagna). Chiara la “matrice” certamente negativa, che si ricollega all’idioma inglese, in considerazione delle situazioni finanziarie piuttosto deficitarie che accomunano i 4 Paesi.
Ma, a distanza di qualche anno, probabilmente le cose non stanno proprio così, rendendo l’acronimo datato. A guardare i conti, infatti, dei 4 Paesi solo 2 continuano a trovarsi in situazioni di precarietà finanziaria allarmanti, mentre 2 hanno invertito la rotta, e non da ieri.
La Grecia, probabilmente, è quella che ancora oggi vive la condizione più difficile, sotto il peso delle decisioni “draconiane” imposte dalla UE al momento del salvataggio (con la partecipazione del Fondo Monetario Internazionale) nel 2010. E ci vorranno non pochi anni affinchè il Paese ellenico possa superare l’austerity.
Dell’Italia conosciamo bene la situazione: con un debito pubblico fermo oltre il 140%, un deficit al 5,3% e un PIL che difficilmente anche per il 2024 salirà oltre lo 0,7%, la situazione emergenziale è all’ordine del giorno.
Dove le cose sono profondamente cambiate (in meglio) è la Penisola iberica, con Portogallo e Spagna che hanno fatto passi da gigante.
In Spagna il debito pubblico, che nel 2020 aveva toccato il record del 120,3%, nell’arco di 4 anni è sceso al 106,5%. Con un PIL che, restando agli ultimi 2 anni, è stato del 2,3 e dell’1,7%.
E questo nonostante una situazione politica piuttosto complicata, che ha costretto a lunghi negoziati per poter arrivare alla formazione del terzo governo a guida di Pedro Sanchez.
Ha dell’incredibile quanto sta succedendo in Portogallo. Il Paese, nel 2020, aveva visto il debito pubblico schizzare, dal 116% del 2019, al 134,9% l’anno successivo (noi, nello stesso periodo, siamo passati dal 134,8% al 155.6%).
In soli 4 anni Lisbona è stata capace di ridurre il debito di oltre 35 punti, portandolo sotto il 100% (99,1). L’economia cresce stabilmente ben oltre l’1% annuo (6,9% 2022, 2,2% 2023, 1,3% le stime per il 2024). Il tasso di disoccupazione, che nel 2013 era vicino al 20%, oggi è a livelli “tedeschi”, non andando oltre il 6,5%. La “ricetta” è consistita, nella prima fase, nell’attrarre molti abitanti di altri Paesi con potenti agevolazioni fiscali per chi avesse trasferito la propria residenza, approfittando di un clima particolare favorevole e di un costo della vita inferiore, nella stragrande maggioranza dei casi, inferiore a quello del Paese di provenienza. Per poi passare alla “fase 2”, con la fine delle agevolazioni per i cittadini stranieri, seguita da una riforma fiscale, che ha portato ad un taglio delle tasse.
In entrambi i casi, comunque, si è puntato su 2 fattori fondamentali, che hanno come “denominatore” comune il clima: il turismo e le energie rinnovabili. La Spagna, in particolar modo, ha visto il fatturato del turismo salire oltre i 165MD €, con oltre 85ML di ingressi in un anno (quasi il doppio della popolazione residente, pari a circa 48 ML di abitanti che, seppur meno che in passato, continua a crescere, contrariamente a quanto succede da noi). Sulle rinnovabili, poi, il Paese spagnolo è leader in Europa. Aspetto evidentemente fondamentale per permettere di mantenere i costi energetici inferiori a quasi tutti i Paesi europei e offrire un vantaggio competitivo alle imprese del Paese: non è casuale, per esempio, che dagli stabilimenti industriali ubicati nel Paese escano oltre 2,4ML di autovetture l’anno, contro le appena 800.000 prodotte in Italia.
Modelli di business sui quali il nostro Paese dovrebbe essere leader (a maggior ragione se si tiene conto di un patrimonio storico-culturale forse unico al mondo). E che ci vede, invece, rincorrere continuamente un po’ in tutti i fronti. Come conferma la fotografia che meglio sintetizza la situazione economico-finanziaria, vale a dire l’andamento dello spread: se il nostro viaggia intorno ai 155,8 bp, quello della Spagna si trova intorno ai 98 bp, mentre quello del Portogallo si trova addirittura ben sotto la metà, a 71,7 bp.
Questa mattina l’Asia è “chiusa festività”: tutte le piazze del Pacifico, infatti, sono chiuse. Le poche aperte non offrono particolari spunti, come prevedibile, non essendo certo i mercati di riferimento dell’area: l’Australia ha chiuso leggermente negativa, così come Mumbai dove le contrattazioni sono a metà giornata.
Futures frazionalmente negativi su entrambe le sponde dell’oceano.
Petrolio sui valori di venerdì, con il WTI a $ 76,55.
Gas naturale sempre intorno a $ 1,801.
Oro a $ 2.039.
Spread a 155,9 bp.
BTP a 3,96%.
Bund a 2,37%.
Treasury a 4,17%, in ulteriore leggera risalita, in attesa che in settimana vengano resi noti i dati sull’inflazione americana.
€/$ 1,0795.
Continuano i segnali di forza del bitcoin, che si conferma sopra i $ 48.000 (48.373).
Ps: si né svolta questa notte, a Las Vegas, in uno stadio inaugurato nel 2020 e costato qualcosa come $ 2 MD, la finale del Superbowl. L’impianto contiene 70.000 posti, ovviamente tutti esauriti. Il costo medio di un biglietto era tra i $ 10.000 e i $ 12.000 (costo minimo $ 8.000). Uno spot di 30 secondi aveva un costo tra i $ 6 ML e i $ 7 ML. L’audience dovrebbe essere stata non inferiore ai 115 ML di spettatori (altro che Festival di Sanremo….). Fox, che trasmette il match, incasserà non meno di $ 600 ML. Per la cronaca hanno vinto di nuovo i Kansas City Chiefs, che hanno battuto, dopo i tempi supplementari, i San Francisco 49ers per 25-22. Conquistando così il titolo per la 3° volta negli ultimi 5 anni.