I “luoghi comuni” sono tali in quanto rappresentano situazioni che il passare del tempo non fa altro che reiterare e confermare. Nella loro “banalità”, quindi, raccontano molto, rispecchiando quasi sempre la realtà. Ma anche i luoghi comuni, come ogni cosa, possono subire “l’usura del tempo”, con il rischio di cessare di essere tali.
La Germania da sempre è universalmente riconosciuta come un modello di efficienza, di rigore, di eccellenza industriale, oltre che di solidità. Ma è indubbio che qualcosa, e non solo come “lascito” del Covid, in quel Paese è cambiato, facendo emergere problematiche inimmaginabili solo fino a pochissimi anni fa. Con più d’uno che, con il senno di poi, arriva a mettere in discussione l’operato di Angela Merkel, considerata, durante il suo lungo “dominio” politico, uno dei più grandi leader che il Paese abbia avuto. Valutazione che oggi ha lasciato il campo a moltissimi dubbi: non sono pochi quelli che ritengono che la situazione in cui naviga oggi la principale economia europea sia figlia di politiche sbagliate, a cominciare dagli strettissimi rapporti con la Russia.
Che l’economia tedesca non godesse di buona salute era cosa nota: e non potrebbe essere altrimenti, in considerazione del fatto che, negli ultimi 2 trimestri del 2023, si è ritrovata in recessione (per quanto “tecnica”: si definisce tale la situazione in cui si trova un’economia che per 2 trimestri consecutivi si trova un segno meno davanti, per quanto modesto). Ma la malattia, anziché migliorare, sembra stia peggiorando.
Gli ultimi dati, infatti, certificano un andamento piuttosto preoccupante per un’economia abituata ad essere il traino di un’intera area geografica come è l’Europa.
La produzione industriale (l’industria manufatturiera è il principale “contributore” del PIL) a dicembre ha conosciuto un calo ben superiore alle previsioni, arrivando a toccare un calo dell’1,6%, mentre le attese si fermavano allo 0,4/0,5%. Vero che ci sono state le vacanze natalizie, ma il discorso non solo vale per tutti i Paesi, ma vale anche per le previsioni. Con questo siamo al 6° mese di calo su 7. Certamente pesa il crollo del traffico nel Canale di Suez, che, costringendo a rotte più lunghe, allunga non di poco i tempi di consegna delle merci (oltre a tutte le conseguenze “accessorie”, dall’aumento di noli a quello del carburante alle polizze a copertura dei rischi etc). Come dimostra il calo di circa il 25% delle attività portuali di Amburgo, il principale scalo tedesco. Imputare, peraltro, tutte le colpe alla crisi medio-orientale darebbe una rappresentazione parziale.
Oggi il Paese si trova ad affrontare anche lotte sociali di cui, probabilmente, non aveva memoria.
Risale a pochi giorni fa la protesta degli agricoltori, che erano ad arrivati a bloccare Berlino.
E’ il turno, ora, dei lavoratori aereoportuali del gruppo Lufthansa: 25.000 persone che hanno paralizzato il traffico aereo, lasciando a terra decine di migliaia di passeggeri. Manifestazione che segue quella avvenuta, sempre nei giorni scorsi, nel settore ferroviario.
Il Fondo Monetario Internazionale ritiene che nei prossimi 5 anni l’economia tedesca crescerà meno di quella di Paesi come gli Usa, la Francia, la Spagna. Mentre altri studi stimano che la crisi Ucraina, unita alle difficoltà post-Covid delle catene di approvvigionamenti, abbiano fatto ridotto la crescita di almeno 20 punti (numero, probabilmente, comunque eccessivo) rispetto alla media dei Paesi OCSE.
Sembrerebbe in corso, quindi, una sorta di “italianizzazione” della Germania. Non bilanciata, peraltro, dalla “germanizzazione” dell’Italia (come di nessun’altra economia europea).
Forse proprio in questo vanno individuate le maggiori difficoltà in cui si trova l’Europa rispetto, per esempio, agli USA. Si sa come, tradizionalmente, l’economia di quel Paese sia ben più dinamica di qualsiasi altro concorrente, e quindi anche dell’Europa. Ma è indubbio che oggi, forse per la prima volta in maniera così evidente, la UE si trova una “certezza” in meno (nelle precedenti occasioni in cui la Germania ha conosciuto momenti difficili la UE, peraltro, non era ancora nata). Senza contare il fatto che, oramai, anche in Europa si è aperta la “campagna elettorale” per il rinnovo del Parlamento europeo, per cui è facile prevedere il rallentamento delle attività “istituzionali” (ogni mondo è Paese…). Cosa che potrebbe, almeno parzialmente, modificare il quadro, facendo aumentare il “gap” con gli Usa, dove l’economia sembra muoversi incurante dei tassi alti. Mentre alle nostre latitudini il rallentamento comincia ad essere evidente.
Ieri nuova giornata di record a Wall Street: il Nasdaq è salito di un altro 1%, il Dow Jones ha fatto segnare + 0,40%, mentre lo S&P 500 ha ritoccato di un altro 0,8%.
Dopo la pausa di ieri, a Tokyo il Nikkei sale del 2,06%.
Prosegue il rialzo della borsa di Shanghai, anche oggi oltre il + 1% (1,28).
In controtendenza, a Hong Kong, l’Hang Seng, che lascia sul terreno l’1,34%.
Futures ovunque positivi, seppur frazionalmente.
Ancora in crescita il petrolio, con il WTI che supera i $ 74 (74,07).
Scende sotto la barriera dei $ 2 il gas naturale Usa ($ 1,974), anche se questa mattina è in modesto rialzo.
Oro in area $ 2.050 (2.049).
Spread in leggero allargamento (155,9 bp).
BTP sempre al 3,87%.
Bund 2,31%.
Treasury Usa 4,10%.
Guadagna marginalmente l’€, con l’€/$ a 1,0783.
Strappo del bitcoin, che si porta a $ 44.529.
Ps: continuano, negli USA, le primarie per definire i 2 sfidanti. Ieri si sono svolte, in Nevada, quelle dei Repubblicani, alle quali non ha partecipato Trump. Che ha lasciato, quindi, “campo libero” alla sfidante, Nikki Haley. Che, però, nonostante, di fatto, corresse da solo, non è andata oltre il 30% dei voti. Oltre il 63% dei votanti ha scelto “nessuno dei candidati”. Ha perso, quindi, in sostanza, “contro se stessa”. Se le primarie fossero un incontro di pugilato, l’arbitro le sospenderebbe per “manifesta superiorità” (o manifesta “inferiorità”).