Le prime 2 giornate dell’anno dei mercati sono la conferma che, anche allor quando le attese e le previsioni degli analisti sono, nel medio termine, positive, bisogna sempre fare i conti con qualche “sorpresa” o con la lettura di dati che non sempre vanno nella direzione desiderata. Prima il “down grade” sul titolo Apple da parte di Barclays, poi, ieri, le minute della FED, per finire, sul fronte geo-politico, all’attacco di Israele in Libano per eliminare il n. 2 di Hamas (una prova di forza che dimostra che il Mossad, quando vuole, funziona molto bene) e, fatto forse ancor più grave, in considerazione anche del numero delle vittime, l’attentato in Iran nell’anniversario della morte del generale Soleimani, eliminato 4 anni fa da un raid americano mentre si trova a Bagdad, e quindi in un Paese (per lui) straniero.
Di Apple si è già detto: con ieri siamo al suo 3° giorno di ribasso, con una perdita che arriva a toccare circa il 3,5%. Stiamo parlando dell’azienda più grande (in termini di valore di borsa) al mondo: naturale che, in concomitanza di pareri come quello pubblicati da Barclays, lo “sciame” possa proseguire per qualche giorno, disturbando l’umore degli investitori.
Nella serata di ieri, poi, sono arrivate le minute della FED: in sostanza, si conferma che nel 2024 sono probabili tagli del costo del denaro. Non vengono, peraltro, date informazioni aggiuntive relativamente ai tempi e all’entità (va ricordato che le minute si riferiscono all’ultimo “commettee” della Banca Centrale americana (a dicembre). Una piccola frustrazione, quindi, per tutti coloro (quasi il 90%) che scommettono su marzo come data di inizio dei tagli (il fatto che non sia stata comunicata una data non significa che la previsionesia errata), che, comunque, toglie qualche “certezza”, lasciando spazio ai dubbi. Dubbi che finiscono per lambire le attese in merito ad un atterraggio morbido dell’economia, che rimane senz’altro l’opzione più forte. Domani sono attesi i dati sul mercato del lavoro, per cui avremo qualche elemento di valutazione in più.
Per arrivare, infine, ai temi geo-politici, forse, in questo momento, l’argomento più delicato.
A tenere “banco”, più che il conflitto in Ucraina (dove la resistenza dell’esercito sembra vacillare sotto gli attacchi portati un po’ su tutto il Paese da parte di Mosca) sono le vicende Medio-orientali.
L’attacco israeliano in Libano, e quindi ad un Paese straniero, per quanto “mirato” ad eliminare un membro di Hamas, sta facendo alzare la tensione, come dimostra lo stop, da parte dell’Egitto, alla mediazione per trovare un accordo sul rilascio degli ostaggi. Né le parole di Netanyahu sembrano gettare “acqua sul fuoco”, visto che ha ribadito che Israele “inseguirà” i terroristi senza tregua, ovunque si trovino.
Ancora più grave quanto accaduto in Iran. Episodi del genere sono facilmente manipolabili, soprattutto in Paesi dominati da regimi. A maggior ragione quando, come nel caso di Teheran, un Paese si sente “accerchiato” (o, comunque, isolato anche dai suoi stessi alleati storici). E’ molto probabile, quindi, che Israele finisca, una volta di più, sul banco degli imputati, accusato di aver ideato e organizzato l’attentato, non facendo altro che aumentare il pericolo di altre azioni terroristiche, questa volta al di fuori dei confini iraniani. Una situazione che potrebbe, quindi, modificare lo stato delle cose, con Israele più esposto ai rischi, più che ad azioni militari vere e proprie (più facilmente gestibili, pur nella loro gravità), ad attentati che andrebbero a colpire la popolazione civile. Scatenando, se così fosse, ulteriori e forse ancor più pesanti reazioni.
Questo è il vero rischio che potrebbe far vacillare le certezze dei mercati. Ancora presto arrivare a qualunque conclusione (ieri, per esempio, solo il $, tra i così detti “beni rifugio”, si è rafforzato, mentre l’oro, altro asset che misura “l’avversità al rischio”, si è addirittura indebolito). E anche il petrolio, particolarmente sensibile alle tensioni geo-politiche, non ha dato segno di particolare nervosismo.
Di certo l’andamento di questi primi giorni dell’anno è un po’ il “termometro” di quello che potrebbe essere accadere sui mercati nell’anno appena iniziato: una tendenza di fondo positiva (inflazione in discesa, taglio dei tassi, economia che tiene) intervallata da pubblicazioni di dati non così allineati con attese a volte troppo ottimistiche o da notizie che potrebbero far pensare all’eventualità di un’estensione dei conflitti.
Ieri altra giornata negativa per i mercati globali, con il Nasdaq nuovamente in calo: con il – 1,06% di ieri, che si aggiunge al – 1,68%, tocca il peggior inizio anno dal 1999. A tenergli compagnia il Dow Jones (- 0,76%) e lo S&P 500 (- 0,80%).
Ennesima giornata negativa per le borse del Far East asiatico: il Nikkei di Tokyo, che riapre dopo le festività, fa segnare – 0,53%, in recupero sul finale delle contrattazioni.
Così come Shanghai, che limita, sul finale di seduta, i danni a – 0,43%.
Riagguanta in extremis (almeno in questi minuti) la parità l’Hang Seng di Hong Kong.
Debole, a Seul, anche il Kospi, mentre sale, a Mumbai, il Sensex (+ 0,5%).
Futures in ricerca di stabilità, ovunque in rialzo, con aumenti tra lo 0,20 e lo 0,30%.
Petrolio in risalita, con il WTI a $ 73.39 (+ 0,85%).
Gas naturale Usa a $ 2,767 (+ 3,49%).
Oro che torna a brillare, riportandosi a $ 2.056,80 (+ 0,59%).
Spread a 165,5, con il BTP a 3,70%.
Bund appena sopra il 2%.
Treasury sempre nei pressi del 4% (3,92%).
€/$ 1,094, con il $ ancora in leggero rafforzamento.
Torna sui suoi passi il bitcoin: questa mattina fa segnare $ 43.350, ma ieri sera era arrivato a perdere quasi il 10% rispetto alle quotazioni della prima mattina.
Ps: tutti ripudiamo le guerre, almeno a parole. A guardare i fatti, invece, viene da pensarla un po’ diversamente. Nel 2022, infatti, la spesa militare mondiale ha toccato la cifra record di $ 2.240 MD, con un rialzo, in termini reali, di circa il 3,7%. Di questi, ben il 39% ($ 877 MD) sono quelli spesi dagli Stati Uniti, seguiti dalla Cina ($ 292 MD, pari al 13%) e dalla Russia (86,4 MD). L’Ucraina ne ha spesi 44,6, mentre l’Italia arriva a 33,5. Che sono comunque tanti…