Il nostro debito pubblico è, € + € -, pari a circa € 2.800 MD (in crescita). Il nostro PIL viaggia intorno a € 2.000 MD (grazie soprattutto al contributo, nell’anno che è appena finito, dell’inflazione, al netto della quale la crescita sarebbe di un ben più modesto 0,6/0,7%.
Al 31/12, la capitalizzazione di Apple si aggirava nei dintorni dei $ 3.000 MD: più o meno una volta e mezzo il nostro PIL. E non è l’unica ad avere un valore superiore, visto che anche Microsoft la segue, distanziata di circa $ 200 MD, e altre (Amazon, Google-Alphabet) non sono lontane dai $ 2.000 MD. Numeri impressionanti (la capitalizzazione complessiva del nostro indicenon arriva a € 800 MD), che aiutano a comprendere l’impatto che notizie che dovessero coinvolgere aziende di queste dimensioni possono avere sull’andamento non solo delle loro quotazioni, ma di tutto il mercato.
Questo è quello che è successo ieri. Le contrattazioni del nuovo anno si erano aperte nel migliore dei modi, con gli indici occidentali (contrariamente a quanto successo sui mercati del Far East) tutti in forte crescita. Almeno sino al momento in cui non è uscito un report da parte dell’Ufficio Studi di Barclays, che abbassa il giudizio sull’azienda di Cupertino. Tanto è bastato per far invertire la rotta ai listini americani (oltre, ovviamente, all’azione della “mela”), con il Nasdaq che ha fatto registrare la peggior seduta dall’ottobre scorso (– 1,68%) e il Dow Jones “costretto” sulla parità. Un po’ meglio è andata in Europa, con i principali indici che hanno mantenuto valori positivi (MIB + 0,57%), anche se per un attimo erano tornati sotto la pari.
Certamente l’andamento di ieri non si spiega soltanto dal parere della Banca inglese: come sappiamo, da circa 3 mesi a questa parte i mercati hanno fatto molta strada. Ecco, quindi, che può bastare un parere “fuori dal coro” (anche se va dato atto dell’autorevolezza di chi lo ha reso noto e, appunto, delle dimensioni della “vittima”) per far cambiare l’umore degli investitori o, per lo meno, far nascere qualche dubbio sull’opportunità di mantenere un atteggiamento comunque guidato dall’ottimismo. Indubbiamente un ruolo importante lo può avere giocato, come capita in situazioni simili, la volontà di “portare a casa” le ottime plusvalenze accumulate nelle ultime settimane, in modo da cominciare a mettere del “fieno in cascina” in un anno che si preannuncia, per quanto positivo, meno brillante del precedente.
Allo stesso modo, anche il mercato obbligazionario si è mosso in maniera analoga, con i rendimenti tornati a crescere. Nulla di preoccupante, peraltro, con qualche basis point in più rispetto al giorno precedente (un movimento che si era già notato nei giorni tra Natale e Capodanno, con i rendimenti dei nostri titoli governativi più lunghi che erano tornati a salire). Anche in questo caso ci possono stare le “prese di beneficio”, anche se, probabilmente, possono influire le attese, per il mese di dicembre, di un’inflazione vista in crescita (che dovrebbe passare, in Europa, dal 2,4 al 3% a causa del rialzo dei prezzi dell’energia, mentre il dato “core”, quindi al netto della componente energetica e alimentare, dovrebbe continuare la sua discesa, passando dal 3,6 al 3,4%.
Non cambia, comunque, la tendenza di fondo, con il raggiungimento del tanto sospirato “target” (2%), secondo le previsioni di molti analisti, già entro il mese di agosto (inflazione media nell’anno 2,3%, che dovrebbe passare all’1,4% nel 2025). Una situazione che, salvo sorprese legate alle tante vicende in calendario, dovrebbe confermare le attese per l’andamento dei mercati per l’anno in corso.
La giornata si è aperta con i mercati asiatici ancora deboli.
Sempre chiusa per festività la borsa giapponese, recupera la parità, sul finale di seduta, l’indice di Shanghai (+ 0,17%), mentre a Hong Kong l’Hang Seng, seppur in recupero, rimane a – 0,85%.
Futures americani appena sotto la parità, mentre in Europa i primi prezzi sono frazionalmente negativi.
Torna a scendere il petrolio, con il WTI di nuovo intorno ai $ 70. Leggendo il bicchiere “mezzo pieno”, significa che l’attacco di ieri a Beirut delle forze israeliane (in cui è stato ucciso il numero 2 di Hamas) non ha conseguenze sul fronte militare.
In discesa anche il prezzo del gas naturale Usa ($ 2,555. – 0,62%).
Si allontana dai massimi anche l’oro ($ 2.069,90, – 0,26%), a conferma di una situazione geo-politica tutto sommato tranquilla (o comunque non in ulteriore deterioramento).
Spread stabile (165,9 bp) per un BTP al 3,75%.
Bund 2,09%.
Treasury Usa 3,97%.
€/$ poco mosso, a 1,0952.
Bitcoin che continua a “surfare” intorno a $ 45.000 (45.110), ai massimi da quasi 2 anni.
Ps: bentornato. Dopo oltre 349 giorni di assenza dall’attività agonistica, Rapha Nadal è tornato. Ed è tornato alla sua maniera: da n. 672 al mondo in cui era precipitato, ha battuto l’austriaco Thiem al torneo di Brisbane, in Australia. E probabilmente, al di là dei 37 anni, non è finita qui. L’ennesima conferma che non si è campioni per caso.