Si chiude oggi l’anno dei mercati finanziari. Dopo le delusioni del 2022, abbiamo assistito ad una reazione che ha contagiato un po’ tutte le asset class, al punto che viene nuovamente messa in discussione la “decorrelazione”, vale a dire l’approccio agli investimenti secondo cui quando salgono gli asset considerati “difensivi”, quelli “più a rischio” scendono, e viceversa: molti listini azionari (vedi il Dow Jones) sono ai massimi di sempre, e anche quelli che non lo sono, distano pochi punti, le obbligazioni (di qualunque tipo, governative, corporate, high yeld, investment grade, etc), grazie soprattutto al rally degli ultimi 2 mesi, sono tornate a far sorridere anche gli investitori più cauti, e l’oro proprio in questi giorni è tornato sui massimi di sempre (anche se ieri è leggermente sceso). L’unico mercato che ha continuato a soffrire è stato quello cinese, con le due piazze che lo contraddistinguono (Shanghai-Shenzhen e Hong Kong in calo, in €, rispettivamente del 16 e del 17%: onda “lunga” del Covid, abbinata alla rigidità del sistema locale, crisi immobiliare, con il coinvolgimento dei più grandi “player” del Paese, consumi che procedono a rilento (negli ultimi mesi il colosso asiatico è addirittura in deflazione) le cause principali.
A determinare la svolta, a costo di essere ripetitivi, il successo delle politiche monetarie messe in atto dalle Banche Centrali, guidate da FED e BCE, che hanno praticamente sconfitto la spirale inflattiva, con attese, per il 2024, intorno al 2.4/2,7%. Non si escludono “colpi di coda”, ma, appunto, dovrebbe trattarsi di fenomeni passeggeri e non di una nuova, a quel punto molto pericolosa, inversione di tendenza.
Oggi oltre l’87% degli analisti (a novembre erano al 35%) è convinto che già a marzo la FED opterà per il taglio dei tassi, un’ipotesi che soltanto poche settimane fa sembrava irrealizzabile (il convincimento era che nulla sarebbe successo prima dell’estate), con un mercato che “sconta” una riduzione pari a 150 bp (cioè un calo dai livelli attuali dell’1,50%).
Indubbiamente, in questi ultimi 2 mesi dell’anno, molta strada è stata percorsa, ad un ritmo più che sostenuto. Fatto che porta molti asset manager ad un atteggiamento, per quanto l’orientamento rimanga all’insegna del “bel tempo”, di maggior cautela, allontanando un’euforia che, come il passato ci insegna, potrebbe rivelarsi pericolosa. La tendenza di fondo fa pensare che, per il 2024, avremo un’inflazione, come detto, contenuta, che permetterà di procedere ad un ribasso dei tassi a più riprese, ed economie, seppur di certo non a ritmi “scoppiettanti”, ancora in ripresa, con utili aziendali (seppur con qualche distinguo in considerazione delle aree geografiche e dei vari settori) di nuovo in crescita. Tutti aspetti che fanno guardare all’anno che sta per arrivare (per quanto, per chi è più sensibile alla “cabala”, sarà un anno bisestile) con un certo ottimismo. Difficile si possano ripetere le performance del 2023, a partire dal + 44% del Nasdaq, ma ancor più difficile che i mercati possano ritracciare. A maggior ragione trattandosi di un anno elettorale: le attenzioni sono tutte rivolte al prossimo novembre, quando negli USA si svolgeranno le Presidenziali, ma non vanno dimenticate le elezioni europee di questa primavera. E poi India, Turchia, Russia, Taiwan, Regno Unito, per arrivare a Venezuela e Pakistan. Insomma, l’equilibrio geo-politico mondiale verrà messo alla prova e qualche sorpresa potrebbe arrivare, a partire proprio dagli Stati Uniti (se si andasse al voto ora, a detta di tutti i sondaggisti a vincere dovrebbe essere Trump…).
Intanto gli ultimi dati macro americani pubblicati ieri denotano una richiesta di sussidi di disoccupazione superiore alle previsioni (218.000 vso 210.000), alimentando nuovamente le previsioni di un indebolimento del mercato del lavoro e quindi di un analogo rallentamento dell’economia. Motivo in più per i fautori di un ribasso dei tassi per ritenere che il passo, a marzo, sia ormai ineluttabile.
Si avvia alla conclusione, sui mercati del Pacifico, l’ultima giornata di contrattazioni del 2023. Un anno, a parte, come detto, per le piazze cinese, piuttosto positivo: l’indice MSCI-Pacific si appresta a chiudere a + 8,8% ( ma con il Nikkei giapponese a + 28%). Molto bene anche Taiwan, a + 26% e, in India, il Nifty, che viaggia a + 20%.
L’ultima dell’anno vede il Nikkei in frazionale calo (– 0,22%), mentre ad Hong Kong l’Hang Seng si muove intorno alla parità.
Molto meglio Shanghai, a + 0,68%.
Ancora positivi i futures, ovunque con rialzi tra lo 0,15 e lo 0,20%.
in discesa il petrolio, con il WTI a $ 72,02.
Gas naturale Usa a $ 2,542.
Oro a $ 2.083, in allontanamento dai massimi.
Si indebolisce lo spread, che, dai 157 pb di ieri mattina balza a 165 bp.
Btp decennale a 3,58%.
Bund 1,95%.
Treasury Usa a 3,83%.
€/S a 1,1065, con il $ in recupero.
“Perde colpi” il bitcoin, tornato verso i $ 42.000 (42.396).
Ps: anche i robot si ribellano. Pare che un ingegnere di Tesla sia stato “aggredito” da un robot, riportando varie ferite. Un episodio, in realtà, che si sarebbe verificato (è stato smentito dall’azienda) circa 2 anni fa, ma reso noto solo ora. Insomma, a distanza di 41 anni dalla sua uscita (era il 1982), Blade runner non è più così “fantascientifico”.