Mentre procede a tappe forzate la discussione in Parlamento per l’approvazione della Legge di Bilancio per cercare di evitare “l’umiliazione” dell’esercizio provvisorio (che si basa sulla precedente Legge finanziaria, e quindi non permette di spendere 1 € in più di quanto previsto per l’anno che sta per finire), non passano inosservate le parole del Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, con particolare riferimento al MES e al 110%. Nel primo caso viene detto che mai, in nessuna sede europea, era stata dato per “cosa fatta”, ma che, al contrario, aveva riferito come sarebbe stata altamente probabile, da parte del nostro Parlamento, la sua bocciatura. Nel 2° caso, il provvedimento, in odor di proroga, è stato addirittura definito come una misura dagli “effetti radioattivi”. In un passaggio della sua audizione alla Commissione lavoro della Camera, si è fatto cenno anche al Patto di stabilità, definito peggiorativo rispetto al precedente (sospeso sino all’ormai vicinissimo 31 dicembre), ma comunque necessario per tenere i conti in ordine. Sui quali pesa, come da lui stesso affermato, come un macigno l’elevato costo del debito, che sottrae risorse per tutte quelle attività (pensioni, sanità, istruzione, lavoro) fondamentali per guardare con maggior serenità ai prossimi mesi. Sappiamo che, di questo passo, la spesa per interessi sul debito arriverà, entro un paio di anni, a toccare € 100 MD, l’equivalente di 3 (o 4) manovre finanziarie.
Assume, quindi, una valenza ancora maggiore la forte riduzione dello spread e, conseguentemente (anche se la cosa non è sempre così scontata) , dei tassi in corso da oltre 2 mesi.
Lo spread, infatti, continua il suo movimento verso il basso, “bruciando le tappe”: ieri ha toccato i 157 bp, toccando il livello più basso dall’agosto 2022, con un rendimento del decennale al 3,47%. Il calo dei rendimenti si traduce in un rialzo delle quotazioni, con un’impennata che, sempre negli ultimi 2 mesi, è arrivata a toccare circa il 10%. Infatti, come ben argomentato in un articolo apparso oggi sul Corriere della Sera, a fronte di un calo dell’1% dei rendimenti, il rialzo del prezzo dei titoli è pari a circa il 7%. Ecco, quindi, che il calo di circa 1,5% dei rendimenti da metà ottobre (quando i BTP “giravano” al 5%) equivale ad un rialzo delle quotazioni che supera il 10%.
Un po’ come le profezie che si autoavverano, questa tendenza rende più probabili, da parte delle Banche Centrali, interventi di politica monetaria nuovamente “accomodante”: ormai non solo i rialzi sono stati messi “in soffitta”, ma si stanno già facendo ipotesi su quando inizierà la loro discesa (marzo?) e di che livello sarà. Qualcuno si spinge ad ipotizzare che possano scendere dell’1,5-2%: il che vorrebbe dire in 6 – 8 tagli da 0,25% cadauno.
Che, obiettivamente, sembrano un po’ eccessivi, per più di una ragione.
Vero che l’inflazione ha mollato la presa, arrivando a livelli vicini al 2% in Europa (e quindi al target fissato dalla BCE) e addirittura allo 0,7% in Italia. Ma dire che oramai ogni rischio è superato sembra un po’ eccessivo. Anche perché, come dimostrato dall’andamento degli ultimi giorni, per esempio il prezzo del petrolio è tornato a salire e ben sappiamo quanto pesi, nella determinazione dei prezzi, l’energia.
In secondo luogo, rimangono accesi, per quanto, al momento, “sotto controllo”, diversi focolai di guerra. E soprattutto quella in Medio oriente potrebbe avere “effetti collaterali” (vedi gli attacchi Houthi alle navi dirette verso il canale di Suez) non propriamente positivi.
Per non parlare dei consumi, che, qua e là, danno segnali di ripresa.
Un conto, pertanto, è dire che i tassi sono al “pivot”, cosa ormai certificata; un altro dire che scenderanno con la stessa velocità con cui sono saliti, come qualcuno iniziare a ritenere. La cosa potrebbe succedere nel caso in cui i segnali di recessione fossero particolarmente evidenti: ma, a quel punto, ciò significherebbe che ci troveremmo di fronte ad una situazione particolarmente grave, con il mondo che non cresce più.
Per cui discesa sì, ma senza troppe “fughe in avanti”, con conseguenze che potrebbero rivelarsi piuttosto negative.
Ieri sera nuova chiusura positiva per Wall Street, con il Dow Jones al nuovo massimo storico di sempre e lo S&P 500 ormai ad passo dal medesimo traguardo.
Nella giornata sul Pacifico, simettono in evidenza i mercati “great China”, con Shanghai che sale dell’1,38%, mentre l’Hang Seng di Hong Kong progredisce del 2,58%.
“Tira il fiato”, invece, Tokyo, dove il Nikkei arretra dello 0,42%.
Ancora in rialzo, questa mattina, i futures, in salita ovunque.
Petrolio stabile, con il WTI in assestamento intorno ai $ 74 (74,13).
Gas naturale Usa a $ 2,468.
Oro (anche lui) al record, a $ 2.097,50, in rialzo anche questa mattina (+ 0,12%).
Ancora in calo lo spread, a 155,8 bp.
BTP al 3,47%.
Bund 1,89%, minimo da dicembre 2022.
Treasury a 3,80%.
€/$ 1,1119, con il $ ai minimi dallo scorso luglio.
Bitcoin che, seppur in calo, “regge” i $ 43.000 (43.064).
Ps: vero è, come diceva De Coubertin, che l’importante è partecipare, ma la competizione è l’essenza dello sport. A maggior ragione in quei campionati dove la vittoria, oltre al prestigio, porta tanti soldi. La NBA, forse, ne è una delle massime espressioni. In quel campionato, però, c’è una squadra che, nella stagione, non ha ancora vinto una partita: non esistendo il pareggio nel basket, ciò significa che le ha perse tutte. E mica 10, o 15. Tutte vuol dire 27, tante sono le gare sin qui disputate. Si tratta dei Pistons di Detroit, che pur, nella loro storia, sono riusciti a vincerne 3 di campionati. E, nel caso dovessero perdere la prossima partita, eguaglierebbero un altro record negativo: quello del maggior numero di sconfitte in più stagioni.