Ieri il Dax, il più rappresentativo indice azionario della Germania, ha aggiornato il massimo storico. Dall’altra parte dell’oceano, il Nasdaq, l’indice tecnologico Usa, si è ulteriormente avvicinato ai massimi di sempre, toccati a fine novembre 2021 (ormai lo separano solo pochi punti percentuale), una situazione, peraltro, comune anche ad altri indici azionari sparsi per il mondo. Il nostro MIB, il più lontano dai massimi del 2000 (23 anni fa….), ieri è tornato a superare i 30.000 punti, un livello che non si vedeva dal settembre 2008, quando scoppiò la “bomba” sub-prime, che portò al fallimento della Lehman Brothers, facendo precipitare il nostro indie azionario a 10.000 punti.
Le cose vanno ancora meglio per il mercato obbligazionario, con gli spread che, seppur lentamente, continuano a “ restringersi”, ma con, soprattutto, il mercato che “inizia a scontare” una buona probabilità di riduzione dei tassi a partire dalla prossima primavera: se fino a lunedì si riteneva che l’inversione di tendenza sarebbe potuta scattare da maggio-giugno, le parole di ieri di Isabel Schnabel, una delle più autorevoli voci del Consiglio Direttivo BCE (in un’intervista ha dichiarato di non prevedere ulteriori rialzi, parole che il mercato ha prontamente “riletto” come il segnale che a breve la banca centrale europea è pronta per nuove politiche espansive), hanno fatto nascere la convinzione che tutto inizierà con qualche mese di anticipo, con un processo di discesa che con marzo potrebbe muovere i primi passi, con addirittura ben 6 tagli nel 2024, per complessivi 150 bp.
Previsioni, a ben vedere, probabilmente un po’ troppo ottimistiche (l’entusiasmo, lo sappiamo, a volte può giocare brutti scherzi). Certo, l’inflazione, nell’arco di pochi mesi, è tornata precipitosamente verso livelli ben gestibili, con “vista” sul target 2%, il “karma” delle Banche Centrali, il livello attorno a cui ruota il sistema delle politiche monetarie e “spartiacque” tra un’economia che cresce in maniera ordinata, spinta dalla fiducia dei consumatori, e un’altra che invece necessita di continui “aggiustamenti” per mantenerla nella corretta carreggiata (tra le previsioni eccessivamente ottimistiche da segnalare quelle del Presidente Abi, Antonio Patuelli, che si è spinto a dire che il momento del “taglio” è già arrivato). I dati di questi giorni parlano, per l’Europa, di un livello di prezzi che lascia intendere che la “battaglia” è quasi vinta, con l’Italia a “tirare” il gruppo di chi già è oltre (nel senso di livello inferiore) al 2%.
I mercati, si sa, così come “fiutano il sangue” (sanno essere molto cinici), così non hanno paura di farsi prendere dall’euforia. Sensazione che, molto spesso, si manifesta non tanto con rialzi sbalorditivi, quanto piuttosto nel “giocare d’anticipo”: si compra pensando di farlo prima di altri, ritenendo che i prezzi, giorno dopo giorno, tornino a crescere. Se sono convinto, questo il ragionamento, che l’economia, tra qualche mese, si sarà lasciata alle spalle “l’ora più buia”, perché aspettare quel momento…? E, quindi, ancora una volta, tocchiamo con mano l’effetto delle “profezie che si autodeterminano”: i comportamenti collettivi, somma di azioni individuali, fanno sì che quelle che, in un certo momento, si limitano ad essere “probabilità”, diventino “certezze”. Un cambio radicale di approccio, che spinge gli investitori a interpretare il rischio come un’opportunità di guadagno, mentre sino a qualche settimana prima, invece, lo vedeva come un “alert” di pericolo.
Da qui a ritenere che la strada si sia fatta priva di ostacoli, peraltro, può essere ancora prematuro (l’entusiasmo di cui si accennava poco sopra): tant’è vero che non tutti i pareri delle più importanti banche d’affari e case di investimento sono, per il 2024, allineati. C’è chi, come Citigroup e Bank of America, stima, per lo S&P 500, “l’indice” per definizione, una crescita del 9%, e chi, invece (come JP Morgan) un passo indietro dell’8%. Un divario di quasi 20 punti percentuali, certamente non pochi: un distinguo che trae origine da una visione dell’economia più orientata ad un ‘hard landing”, e quindi il ritrovarsi in una inaspettata recessione, e chi, invece, pensa che un soft landing (per non dire un “no landing”) sia il risveglio più probabile. Nel dubbio, una interpretazione positiva dei mercati può essere di aiuto. Come, peraltro, nella vita.
La giornata asiatica si avvia verso la chiusura con indicazioni molto positive per la borsa giapponese, con il Nikkei oltre il + 2%. Il Governatore della Bank of Japan, Ryozo Himino, ha dato “fuoco alle polveri”, dichiarando che la politica monetaria continuerà ad essere espansiva (tra le poche al mondo) almeno sino a quando l’inflazione non avrà raggiunto il 2%.
Bene anche, a Hong Kong, l’Hang Seng, che sale dell’1%.
Leggermente debole Shanghai (- 0,11%), “disturbata” dal declassamento, da parte di Moody’s, dell’outlook del debito cinese.
Futures ovunque positivi, con rialzi tra lo 0,11 e lo 0,40%.
Petrolio sempre in “ritirata”, con il WTI a $ 72,34.
Gas naturale Usa a $ 2,703.
Stabile l’oro, comunque ben saldo sopra i $ 2.000 (2.048).
Spread a 172.
BTP che si portano sotto il 4% (3,98), tornando ai livelli della tarda primavera.
Bund a 2,24%, – 10 punti base.
Treasury al 4,20%.
€/$ a 1,0784, con il $ che torna a guadagnare terreno.
Non si ferma la corsa del bitcoin, a $ 43.636 (ma nella notte aveva superato i $ 44.000).
Ps: parlare di futuro, lo sappiamo, non è semplice di questi tempi. Non ci viene in soccorso neanche la formazione scolastica dei giovani. Un problema, a dire il vero, globale, se è vero che, da quanto appare dalle rilevazioni Ocse a riguardo dell’Invalsi le capacità di apprendimento, anziché progredire, tornano indietro. Siamo tornati, infatti, ai livelli del 2003. Ma, soprattutto, la forbice tra Nord e Sud continua a crescere. Una forbice, che nel nostro Paese, è anche “di genere”, con una differenza tra ragazzi e ragazze che è la maggiore al mondo.