Secondo S&P, questa volta non in veste di “giudice” per il nostro rating, nel 2024 il fatturato medio delle imprese italiane dovrebbe crescere di circa il 5%. Numeri non eccezionali (ben lontani dal + 20% medio fatto registrare nel periodo post-pandemico – ma quella sì che è stata una situazione eccezionale), ma che assumono una valenza diversa se si pensa che, fortunatamente, ci troviamo con un’inflazione molto inferiore rispetto ai 12 mesi precedenti (che quindi non “gonfia” i margini), accompagnata, però, anche da un calo della domanda internazionale. Le aziende italiane, quindi, sembrano dimostrare una “resilienza” che va oltre qualsiasi tipo di politica economica che si intende adottare (a tal proposito, va ricordato che a giorni dovremmo ricevere, così si spera, il “via libera” della Commissione europea alla Legge di bilancio, anche se, così di vocifera “nei corridoi”, con qualche “raccomandazione” di attenzione: senza dubbio non passerà inosservato, agli esaminatori, che il nostro deficit, per quanto, nei prossimi 2 anni, in calo, rimarrà ben sopra i limiti (3%) previsti, andando dal 5,3% di quest’anno al 4,4/4,7% il prossimo, e rimanendo ancora sopra la soglia per il 2025). Il tutto se si verificasse la “best case” indicata dal Governo in termini di crescita e diminuzione dell’inflazione….Nel rapporto della società americana, emerge come la stragrande maggioranza delle aziende sia stata in grado di trasferire “a valle”, sino ad arrivare al consumatore finale, i maggiori costi (soprattutto energetici) che hanno dovuto affrontare: elemento che, se da una parte è stato penalizzante per i consumatori, solo in parte “protetti” dagli aumenti salariali, dall’altro ha permesso di mantenere bilanci in ordine, evitando conseguenze piuttosto gravi (basti pensare, per esempio, ai livelli occupazionali, con la disoccupazione comunque in calo), che avrebbero messo ancor di più a rischio la crescita.
Il verdetto di venerdì sera, a mercati chiusi, di Moody’s sul debito italiano ha confermato, nella giornata di ieri, le attese sull’andamento dello spread, nuovamente in calo e sempre più vicino ai 170 bp (172). Il rendimento del nostro decennale si è portato intorno al 4,35%, lontanissimo dal 5%, il livello in cui si trovava non più tardi di 1 mese fa. Un andamento, peraltro, frutto non soltanto dei giudizi positivi (o, per lo meno, “non peggiorativi”) sul nostro Paese, quanto di una situazione globale che sembra molto cambiata.
Se sin verso la metà di ottobre a prevalere erano le “ombre”, da qualche settimana il cielo sembra più sgombro da nubi e, laddove si presentassero, il vento le allontana subito.
Oramai, solo il 15% degli osservatori ritiene che l’economia dovrà affrontare un “hard landing”, con la recessione che si impadronisce delle nostre vita. Rimanendo dall’altro parte dell’Oceano, si ritiene che l’anno prossimo le società quotate allo S&P 500 aumenteranno gli utili di oltre l’11%. Una percentuale assolutamente incompatibile, evidentemente, con un calo della crescita: in una recessione, infatti, gli utili scendono, mediamente, del 15-20%.
A dare credito a queste previsioni anche uno studio di Morgan Stanley, secondo cui la disoccupazione Usa è destinata sì a salire, ma di livelli assolutamente “normali”, passando al 4% (oggi siamo intorno al 3,8%) a fine 2023 e arrivando al 4,4% alla fine dell’anno prossimo, con un aumento del PIL dell’1,2% quest’anno e dello 0,8% l’anno che verrà. Probabilmente ne sapremo un po’ di più già questa sera: sono attese, infatti, le “minute” della FED, da cui si capirà con maggior chiarezza il punto di vista di chi è chiamato “a dirigere il traffico”. Il 12 e il 13 dicembre, per l’ultima volta quest’anno, si riunirà il Comitato Direttivo FED, e quindi già questa sera potremmo essere in grado di caprie quali saranno le prossime mosse di Powell, anche se, almeno a “leggere” il mercato (a scendere non sono stati solo i rendimenti europei, ma anche quelli americani, a cui si è accompagnato il rialzo, nell’ultimo mese, degli indici azionari, soprattutto di quello tecnologico, più sensibile all’allentamento delle misure di rigore monetario, con il Nasdaq oramai ad un passo dal record storico del 2021), l’opinione più diffusa è che, ancora una volta, i tassi USA non si muoveranno.
A voler essere “pignoli”, peraltro, a disturbare il clima, paradossalmente, potrebbe essere l’ottimo momento dei mercati. E’ nota, infatti, la stretta “connessione” tra le quotazioni degli indici e la “sensazione di ricchezza” percepita dai piccoli risparmiatori americani (tradizionalmente molto orientati agli investimenti azionari). Un ulteriore rialzo dei valori di borsa potrebbe quindi trasformarsi in una “corsa” agli acquisti natalizi, facendo di nuovo scattare “l’allarme prezzi”.
Dopo un andamento positivo per gran parte delle contrattazioni, sul finale di seduta gli indici asiatici sembrano accusare un po’ di stanchezza.
Tutti, infatti, hanno fatto registrare cali che hanno, di fatto, annullato i rialzi di giornata. A Hong Kong l’indice Hang Seng è, in questi minuti, sugli stessi livelli di ieri (+ 0,020%). Allineati il Nikkei a Tokyo e Shanghai, entrambi a – 0,10%.
Sorte analoga per i futures, su entrambe le sponde dell’Oceano, ondeggianti intorno alla parità.
In rialzo, nella giornata di ieri, le quotazioni del petrolio e del megawattora allo snodo di Amsterdam, anche se questa mattina tutto sembra rientrato nella norma: a far scattare gli acquisti un attacco ad una nave “cargo” (peraltro vuota) avvenuto nel Mar Rosso. Non, quindi, un trasporto “energetico”, ma comunque in grado di preoccupare (si trattava, per inciso, di una nave controllata da una Compagnia di noli giapponese, ma di proprietà, così sembra, di un armatore israeliano).
Il WTI, dopo essere tornato verso i $ 78, questa mattina perde lo 0,77%, a $ 77,30.
Gas naturale Usa a $ 2,888 (-0,03%).
In risalita l’oro, a $ 1.994,50.
Spread che apre gli scambi a 173 bp.
BTP a 4,35%.
Bund tedesco a 2,61%.
Treasury Usa 4,40%, in calo di 5 bp.
Ancora un passo avanti per l’€, oramai vicino all’1,10 verso il $ (1,0959): una ulteriore conferma del mutato “sentiment” di mercato (tradizionalmente la “forza” del biglietto verde significa assumere una posizione più “difensiva”, tipica di previsioni di turbolenza).
Sempre “ondeggiante” in area $ 37.000 il bitcoin (questa mattina $ 37.319).
Ps: che la Germania non stia “benissimo” è noto da un po’. E non sono i “soliti” dati (per esempio il calo del PIL, o le difficoltà del Governo a confermarcelo). A dircelo, cose, se vogliamo, di ancor più facile lettura. Come, sempre per esempio, il fatto che siano sempre di più i pensionati che continuano a lavorare. Sono infatti ben 1.123.000 i lavoratori dipendenti che, pur avendo superato i 67 anni di età, continuano a “timbrare il cartellino”. A fine 2022 erano 56.000 in meno. Al di là di una motivazione “psicologica” (non trovarsi da un giorno all’altro a “girovagare” per casa), ne esiste un’altra, ben più evidente e importante: permettere a molte famiglie di arrivare a fine mese.