Negli USA, secondo uno studio dell’Università del Michigan e dal Financial Times solo il 14% dei cittadini è soddisfatto della politica attuata dal Presidente Biden, mentre ben il 70% ritiene che le scelte di politica economica dell’Amministrazione abbiano portato ad un peggioramento della situazione. Numeri da cui si può evincere quanto sia in salita la strada, per il Presidente uscente, che conduce alle elezioni del prossimo novembre.
In Europa (area UE) emergono le prime difficoltà, con una crescita il cui rallentamento oramai si fa ogni giorno più evidente. Per domani è prevista, da parte del Commissario agli Affari Economici, Paolo Gentiloni, la presentazione delle nuove previsioni economiche, sulla base, appunto, di stime di crescita più basse. Già a settembre, sempre il Commissario Gentiloni aveva rivisto al ribasso la crescita per il 2023, passata dall’1,1% allo 0,8%, mentre per il 2024 il taglio era stato dello 0,3%, passando dall’1,6% all’1,3% (inferiori le stime di crescita per l’Italia, pari, per il 2024, all’1,1%). Domani, quindi, sapremo come l’Europa “vede” il 2024.
Il quadro che uscirà, quindi, dovrebbe essere un po’ più cupo, con l’incertezza che sembra ormai dominante.
Eppure, ancora una volta, i mercati, da quelli obbligazionari a quelli azionari, stanno, ormai da qualche giorno, lanciando segnali piuttosto rassicuranti.
Ogni giorno di più, infatti, si ritiene che la “stagione dei rialzi” sia finita: a fronte di numeri che certificano un’economia in rallentamento, ben difficilmente le Banche Centrali si assumeranno la responsabilità di “tirare ancora di più il freno”. Soprattutto quella americana, essendo gli Usa alle porte, come noto, di un anno elettorale.
Si sta entrando, quindi, in una nuova fase, quella già definita da più parti “higher for longer”: ancora non più tardi di pochi giorni fa, la stessa Christine Lagarde, a capo della BCE, ha infatti dichiarato che, perseguendo l’obiettivo dell’inflazione target (fissata al 2%), in Europa, fin verso la fine del 2° trimestre 2024 difficilmente vedremo i tassi iniziare a scendere. Non sarà sufficiente, pertanto, vedere l’inflazione scendere, come già sta facendo, sotto il 3% (2,9% sia in Italia che zona UE) perché la Banca Centrale riveda le sue scelte.
Indubbiamente è presto per dire se la guerra all’inflazione è vinta, ma tanto basta per dare “linfa” ai mercati. Se il 2022 ha visto le quotazioni delle emissioni obbligazionarie crollare sotto i colpi del rigore monetario, caduta peraltro continuata anche nell’anno in corso, assistiamo ora alle prime avvisaglie di una ripresa dei valori, accompagnata, anzi, causata, da una diminuzione dei rendimenti. Non a caso gli spread stanno iniziando a restringersi, come dimostrano le quotazioni dei treasury Usa e di molti governativi europei. Un discorso a parte lo merita il nostro spread (e quindi anche i nostri BTP): venerdì è atteso il verdetto di Moody’s, al più critica tra le agenzie di rating verso il nostro Paese. Eppure anche ieri il differenziale con il bund tedesco, seppur di poco, si è ridotto: segno evidente che gli operatori ritengono che la società di rating americana questa volta “non calcherà la mano”, come successo nell’agosto 2022, quando il nostro outlook venne ridotto da stabile a negativo. Giocherà, a nostro favore, la mutata situazione in merito agli approvvigionamenti energetici, allora uno dei maggiori fattori di criticità: oggi, grazie alla diversificazione delle forniture, oltre all’attivazione di 2 nuovi rigassificatori, siamo messi molto meglio, con rischi praticamente azzerati. Qualche segnale di miglioramento anche sul fronte del PNRR, con l’incasso di diverse rate. Rimane il tema dei maggiori oneri sul debito pubblico, il cui costo medio, rispetto a 12 mesi fa, è aumentato di circa 80 bp, passando da 3,70% a 4,50%: ma, evidentemente, questo è un problema ben più ampio, che riguarda un po’ tutto il mondo, dipendendo dalle politiche monetarie delle Banche Centrali.
Buoni motivi per indurre a ritenere che anche il “quarto giudizio” dovrebbe confermare i 3 precedenti. Da qui il buon momento per i nostri BTP, con il rendimento sempre più lontano dal picco di “periodo” segnato lo scorso 19 ottobre, quando ha toccato il 5,07% (ieri era al 4,54%, con lo spread a 184 bp).
Discorso simile, anche se con un andamento un po’ meno “lineare”, per i mercati azionari, per i quali, se da una parte le prospettive di un abbattimento, nei prossimi mesi, degli oneri finanziari, è un “motivo di acquisto”, soprattutto per il settore growth (rappresentato dai listini tecnologiche), favorito rispetto a quello value (i listini tradizionali), dall’altra il dubbio che gli utili, in considerazione del rallentamento economico, possano diminuire, porta invece ad una certa cautela (fermo restando che l’avvicinarsi alla fine dell’anno potrebbe spingere molti gestori e banche d’affari a premere sull’acceleratore).
Indici asiatici in ripresa questa mattina.
A Tokyo il Nikkei è in rialzo dello 0,34%. Su livelli simili (+ 0,31%) Shanghai, mentre cresce l’attesa per il vertice di oggi, a San Francisco, tra i Presidenti delle 2 economie più forti al mondo. Ai margini del vertice Apec (Cooperazione economica asiatica pacifica) Biden e Xi Jinping dovrebbero annunciare un nuovo accordo economico.
Sulla parità, a Hong Kong, l’Hang Seng.
Futures ovunque poco mossi, a indicare un avvio di giornata all’insegna della tranquillità.
Continua la risalita del petrolio, con il WTI che si porta a $ 78,54 (+ 0,23%).
Gas naturale Usa a $ 3,178 (- 0,75%).
Oro stabile ($ 1.950,70, – 0,06%).
Spread a 183 bp, con il BTP intorno al 4,53%.
Bund 2,71%.
Treasury a 4,63%.
€/$ 1,0706, con l’€ in leggerissimo rafforzamento.
Scende sotto i $ 37.000 il bitcoin (36.684), anche se questa mattina le quotazioni sono in risalita.
Ps: economia ovunque in rallentamento. Ma, come sempre, con qualche eccezione. Ad essere premiati, questa volta, i 2 maggiori produttori di aerei al mondo (Boeing e Airbus). Per quanto riguarda l’azienda americana, è in arrivo, da parte di Emirates, un ordine di 100 aerei (95 Boeing 777, 5 Dreamliner 787) del valore di $ 52 MD (oltre a diverse altre compagnie per ordini inferiori). Non va peggio all’europea Airbus. Si parla insistentemente, infatti, di un mega-ordine (potrebbe arrivare a 355 velivoli) da parte di Turkish Airlines, ormai diventata l’ottava compagnia aerea al mondo. Un caso quasi paradossale, viste le condizioni in cui si trova la Turchia (tassi al 35%, con l’inflazione che si aggira intorno al 60%…).