Probabilmente, ripensando agli ultimi 18 mesi, il termine più “inflazionato” è proprio “inflazione”. Qualcuno, tra i più giovani, forse, fino a poco tempo fa, non aveva ben chiaro cosa, nella pratica, fosse: ma, guardando, per esempio, all’andamento dei prezzi di un biglietto per assistere ad un concerto musicale (il 2023, in questo senso, è stato un anno strepitoso), sicuramente ne hanno compreso il significato.
Non può, quindi, lasciare indifferenti apprendere che, a ottobre, l’inflazione è tornata ai livelli di 2 anni fa, scendendo ad un 1,8% annuo (ma addirittura – 0,1% su base mensile) che fa ben sperare per il futuro. Attenzione, però, a non farsi prendere da facili entusiasmi: il fortissimo calo (in un mese siamo passati dal 5,3% tendenziale, appunto, all’1,8%), infatti è da imputarsi quasi esclusivamente all’energia, i cui prezzi, ad ottobre 22, avevano subito, invece, un’impennata quasi “esagerata”, facendo decollare l’indice dei prezzi all’11,8%, forse il picco più alto. Peraltro, un contributo arriva anche dai prezzi alimentari, scesi, in media (che tiene conto sia dei prodotti agricoli “lavorati” che di quelli “non lavorati”), al 6,5% (6,3% invece il “carrello della spesa”, quello costituito dai prodotti ad elevata frequenza di acquisto). Infine, si attesta al 4,2%, dal 4,6% di settembre, l’inflazione di “fondo”, quella, cioè, al netto dei prodotti energetici ed alimentari.
Strettamente collegato all’andamento dei prezzi, come ben sappiamo, in conseguenza delle politiche monetarie attuate dalle Banche Centrali, c’è quello del PIL. Come ben sappiamo, l’obiettivo principale del rialzo dei tassi è riportare l’inflazione sotto controllo, risultato che richiede, normalmente, almeno 12/18 mesi. Anche in questa occasione, quindi, si può dire che la storia si sia ripetuta, confermando quanto scritto “sui libri di scuola”. Sempre sugli stessi libri, però, c’è scritta un’altra cosa: lo strumento “tassi” va maneggiato con molta cura, in considerazione degli effetti che può avere sulla crescita economica. Naturale, quindi, nel momento in cui si parla della probabile “vittoria” sull’inflazione, che si guardi anche a cosa sta succedendo sull’altro fronte.
Analizzando quanto sta succedendo a livello di Paesi sviluppati, con particolare riguardo alla UE, non si può non notare come la crescita abbia subito una significativa contrazione. Una correzione, però, probabilmente inferiore a quanto temuto, che al momento fa dire che non è ancora tempo di recessione. Vero che la Germania, in questo momento, più che una “locomotiva” è una “zavorra” (basti pensare al peso che l’economia tedesca ha su alcuni nostri “distretti” produttivi, come l’acciaieria in provincia di Brescia), ma comunque la flessione non è andata, per il 3° trimestre, oltre lo 0,1%. Per noi, invece, “calma piatta”, un dato comunque migliore a quello del secondo trimestre (quando abbiamo visto un arretramento dello 0,4%), che non sposta di una virgola le stime per il 2023 (+ 0,7%). Numeri che, peraltro, testimoniano quanto le stime governative per il 2024 (+ 1,2%) siano estremamente positive e di non semplice realizzazione. Lo 0,8% stimato da molte Istituzioni (dalla Commissione Europea al FMI) appare, come da molti sostenuto, quello più realistico: ciò che più conta, però, è che comunque si possa parlare di crescita “positiva”. Ancora una volta, quindi, sotto questo aspetto il bicchiere non può che essere “mezzo pieno”.
Diverse le prospettive se guardiamo ai conti pubblici, il nostro vero “tallone d’Achille”. La Legge di bilancio, in corso di approvazione e molto discussa all’interno della stessa maggioranza di Governo, infatti, “si regge” su un aumento “nominale” del PIL (quindi comprensivo del contributo dell’inflazione) del 4,1%. A questi ritmi di crescita, come detto, raggiungere lo 0,8% sarebbe già un successo. Se l’inflazione dovesse, nel corso del 2024, attestarsi intorno al 2%, come i dati di ottobre lasciano intravedere (contro il 2,9% stimato dal Governo), si arriverebbe al 2,8%. “Mancherebbe”, quindi, circa l’1,3%: facendo due conti, sulla base dell’attuale pressione fiscale, verrebbero a mancare circa € 12/14 MD di entrate. La finanziaria, andando “contro” gli indirizzi della UE (dal 2024 tornerà il “patto di stabilità”, che prevede che il deficit non superi il 3%, anche se, su questo punto, si sta ancora trattando), prevede un deficit del 4,3%: se dovessero verificarsi le condizioni di cui sopra, pur ipotizzando che la spesa per interessi si possa contenere, guardando alle emissioni di BTP di ieri, avvenute a circa 0,29% in meno sulle scadenza quinquennali e lo 0,17% in meno su quelle decennali (ma il costo medio delle emissioni del 2023 è balzato al 3,74% contro un ben più modesto 1,71% del 2022), a livelli un po’ inferiori, non potremmo che trovarci, ancora una volta, in difficoltà, andando a trovare il modo di rifinanziare il debito. Senza contare le conseguenze che potrebbero esserci sul rapporto debito/PIL, vero “misuratore” della capacità di un Paese di gestire le proprie risorse.
Seduta di fine mese positiva per gli indici europei, trascinati dai dati sul calo dell’inflazione, e per quelli americani (Dow Jones + 0,38%, Nasdaq + 0,52%, S&P + 0,65%).
Inizia sotto i migliori auspici il mese di novembre per la borsa giapponese: a Tokyo il Nikkei, grazie dalla conferma dell’espansione monetaria da parte della Bank of Japan, sale, infatti, del 2,41%.
In crescita anche Shanghai (+ 0,14%), mentre a Hong Kong l’Hang Seng raggiunge a stento la parità.
Futures al momento deboli negli USA, ancora una volta positivi invece in Europa (rialzi tra 0,20-0,40%).
Petrolio ancora sotto pressione, con il WTI in prossimità degli 80$ (81,41, in moderato rialzo – + 0,37% – questa mattina).
Gas naturale Usa a $ 3,539 (- 1,20%).
Abbandona “quota 2.000” l’oro: nei primi prezzi di oggi scambia a $ 1.986, – 0,47%.
Spread che continua a “girare” intorno a 190 bp (191,3).
Rendimento del decennale in leggera flessione a 4,72%.
Bund 2,80%.
Torna invece a salire, seppur di poco, il Treasury, che, dal 4,87% di ieri, si porta al 4,92%. E’ atteso, oggi, il nuovo “verdetto” della FED: le attese sono per il mantenimento dei livelli attuali, con i tassi nella “forchetta” 5,25/5,50%.
€/$ 1,0567.
Bitcoin sempre intorno a $ 34.500 (34.459), dopo una nuova “puntatina” sopra i $ 35.000.
Ps: e quindi, ancora una volta, per i nostri amici tedeschi il nostro è un Paese per “bamboccioni”. Così scrive, infatti, una delle più note testate giornalistiche tedesche, il Frankfurter Allgemeine Zeitung, citando dati che evidenziano come il 66% circa dei ragazzi italiani tra i 18 e i 34 anni vive in casa dei genitori(ma spagnoli, greci e, soprattutto, croati, sono capaci anche di peggio). Però il nostro tasso di disoccupazione giovanile si aggira intorno al 27%. In Germania, mediamente, un giovane diventa indipendente intorno ai 24 anni: ma, soprattutto, sin quando è in “formazione”, la famiglia riceve un sussidio medio di € 250 mese, oltre ad un sostegno finanziario che può arrivare anche a € 900 mese. Ecco un esempio di “politiche giovanili”….