La straordinaria coincidenza della data dell’attacco ad Israele riporta le lancette della storia indietro di 50 anni, al 7 ottobre 1973.
Peraltro, la “sovrapponibilità” dei 2 eventi probabilmente termina qui. Non si fa riferimento agli sviluppi bellici (come ha più volte dichiarato il Primo Ministro Netanyahu, “Israele è in guerra”), quanto, piuttosto, alla loro origine.
Quello del 1973 fu un vero e proprio atto di guerra, con 2 Stati (Egitto e Siria) che avevano schierato i loro eserciti regolari: una sorta di “avanguardia”, quindi, del mondo arabo, che, evidentemente, in un modo o nell’altro, aveva avallato l’intervento (ben sappiamo che il silenzio, quasi sempre, equivale all’assenso). Da un punto di vista “militare”, quindi, si trattò di una vera e propria guerra, da una parte rivolta alla “riconquista” di alcuni territori, a detta degli “attaccanti” usurpati a chi li abitava, dall’altra alla loro “difesa”. Naturale che le ripercussioni si siano immediatamente fatte sentire, protraendosi poi per anni, sui prezzi dei prodotti petroliferi, contribuendo a provocare una crisi economica sotto certi aspetti drammatica.
Oggi si parla, invece, di un’azione terroristica: già si parla, infatti, dell’11 settembre di Israele, evocando l’attacco di Al Qaeda. Di fatto, infatti, Hamas è considerato un movimento terrorista, né più né meno, pertanto, del gruppo che ha progettato il più incredibile attacco agli Stati Uniti. A parte l’Iran, notoriamente schierato con gli estremisti, nessun Paese arabo, al momento, ha preso una netta posizione contro Israele. Né, tanto meno, la Russia, alle prese con ben altri problemi.
Certo, gli scenari possono cambiare velocemente e quello che al momento sembra essere un conflitto territorialmente limitato potrebbe assumere dimensioni ben diverse.
Forse anche per questo ieri il panico non si “impadronito” dei mercati, mantenendosi a debita distanza.
Il petrolio, che spesso, in situazioni di crisi geo-politiche che coinvolgono il mondo arabo, ha dato segni di grande nervosismo, con la corsa agli acquisti (per il timore di embarghi) che ne faceva lievitare il prezzo, si è mantenuto su valori ben inferiori ai massimi di una decina di giorni fa. La preoccupazione, al momento, è data dalla produzione dell’Iran, quantificabile in 500-600 mila barili/giorno: il ripristino di eventuali sanzioni “toglierebbe” dal mercato quel quantitativo, che andrebbe ad aggiungersi ai tagli già confermati dalla “strana alleanza” Russia-Arabia Saudita.
Il “non allargamento” del conflitto al mondo arabo, in più, non può che far bene all’area anche per un’altra motivazione, prettamente economica: Israele e i Paesi del Golfo, pur rappresentando solo il 14% della popolazione, valgono il 60% del PIL locale, il 73% dell’esportazione di beni e il 75% degli investimenti internazionali. Tutti buoni motivi, evidentemente, per tenere “sotto controllo” la situazione.
Situazione che certamente Israele, a modo suo, vorrà “sistemare” in tempi rapidi: l’isolamento totale della striscia di Gaza e l’ammassamento, ai confini dei territori, di oltre 300.000 riservisti e militare e di migliaia di mezzi fanno pensare ad un’azione in tempi rapidi. Il tema degli ostaggi è forse l’elemento che potrebbe modificare se non “l’ordine” delle cose almeno le modalità di attuazione, viste le minacce dei terroristi di non lasciare scampo ai prigionieri in caso di attacco israeliano.
L’unica forza veramente anti-israeliana, che non esiterebbe a scendere in campo, rimane quindi l’Iran. La Siria, in preda alla guerra civile, è allo stremo; l’Egitto sembra ormai aver preso le distanze dal terrorismo islamico, e quindi anche da Hamas. L’Arabia Saudita è impegnata ad “accreditarsi” verso la comunità internazionale (seppure le “lacune”, soprattutto in termini di diritti civili, rimangano molte), come dimostra, banalmente, la volontà di organizzare i Mondiali di calcio del 2034. Tutte buone ragioni per sperare che il tutto si possa risolvere in tempi brevi.
Dopo una partenza all’insegna della più che comprensibile incertezza, ieri sera Wall Street ha dato segnali di forza, con tutti gli indici in positivo.
Questa mattina riapre “con il botto” il Nikkei a Tokyo, con un rialzo del 2,43%.
Bene anche Hong Kong, dove l’Hang Seng sale dello 0,78%.
“Paga pegno”, ancora una volta, la Cina, con Shanghai in calo dello 0,64%, con il settore immobiliare di nuovo alle corde (Country Garden ha annunciato che prevede di non essere in grado di far fronte al rimborso di alcuni prestiti).
Si muovono intorno alla parità i futures Usa, mentre quelli europei denotano i miglior brillantezza, con rialzi che superano lo 0,50%.
In ripiegamento il prezzo del petrolio, che arretra dello 0,79% ($ 85,79).
In calo anche il gas naturale Usa, a $ 3,366 (- 0,47%).
Ieri rimbalzo, allo snodo di Amsterdam, del megawattora, che ha toccato € 45, con un rialzo di oltre il 15%.
Oro ancora in ripresa, a $ 1.872 (+ 0,33% anche questa mattina).
Spread a 205 bp, dopo che ieri aveva toccato i 207 bp.
Sul fronte “domestico”, da segnalare il pagamento, finalmente, della 3° rata del PNRR, pari a € 18,5 MD, che porta a € 85,4 MD il totale degli incassi del Next Generation EU (pari al 44% del totale).
Arriva, però, anche “l’ammonimento” di Bankitalia, che si dice preoccupata per il lentissimo, quasi impercettibile, calo del debito pubblico, principale causa del “rischio spread” che il nostro Paese sta correndo.
BTP al 4,83%.
Bund al 2,78%.
Treasury USA in recupero, con il rendimento che scende al 4,64%.
€/$ sempre intorno a 1,0558, senza particolari segnali di nervosismo.
Poco mosso il bitcoin, sempre intorno ai $ 27.650.
Ps: un’autobiografia non si nega a nessuno. E’ in edicola, in questi giorni, quella di Arnold Schwarzenegger, che da culturista si è ritrovato anche a ricoprire il ruolo di governatore della California, forse lo Stato più importante degli Stati Uniti. Scopriamo, quindi, che la sua infanzia non è stata delle felici, costretto dal padre a fare la doccia ghiacciata (ha fatto la sua prima doccia calda quando è partito per il servizio militare e a fare 200 piegamenti sulle gambe ogni mattina prima di fare colazione – anzi, per meritarsi la colazione). Motivi che, peraltro, non sufficienti a pensare che il padre non fosse un buon padre e che tutto sommato la vita che faceva non era poi molto peggio di altre. Senz’altro motivi che hanno forgiato il suo fisico, a quanto pare, ma viene da dire anche la sua mente.