“Il livello raggiunto dai tassi, se mantenuto per un periodo sufficientemente lungo, consente di raggiungere il target di inflazione”.
Tutto ruota intorno alle parole della Presidente della BCE, pronunciate nella conferenza stampa successiva alla decisione della Banca Centrale di un nuovo rialzo dei tassi dello 0,25%.
La reazione dei mercati, sia per quanto riguarda l’andamento degli spread che, forse in maniera ancora più evidente, degli indici borsistici, in primo luogo di quelli “direttamente interessati”, conferma che gli analisti “annusano” il fatto che oramai dovremmo essere arrivati in fondo (o in cima, dipende dai punti di vista). Il tasso dei depositi presso l’Eurosistema, quello che determina l’overnight – e quindi, di fatto, l’euribor, ritenuto il tasso di riferimento per le imprese e le famiglie (basti pensare ai mutui e ai finanziamenti) – è passato al 4% e da qui, salvo imprevisti, non dovrebbe muoversi per un bel po’, come il neologismo (in politica monetaria) “data dependent” utilizzato dalla Lagarde lascia intendere. Che poi non è altro che la conferma di quanto da mesi si sta ripetendo, vale a dire che qualsiasi decisione (in merito ai tassi) viene presa non sulla base di obiettivi fissati a suo tempo e “disancorati” dalla realtà, ma sulla base di valutazioni “work in progress”.
Come ci ricorda Alessandro Fugnoli, uno degli strategist più lucidi del panorama italiano, l’inflazione europea, nel periodo 2021-2025, prendendo per buone le stime per l’anno in corso e i prossimi due (5,6%, 3,2% e 2,1%) tenendo conto di quella dei 2 anni precedenti (14,5%), sarebbe pari a circa il 25,4%, un livello addirittura superiore a quello raggiunto nel quinquennio 1975-79 dalla Germania (all’epoca l’Unione Europea non esisteva e la Germania, di fatto, era il “benchmark” per ogni analisi economico-finanziaria. Per quanto pesanti siano state, per le tasche degli italiani (e di molti altri cittadini europei), le conseguenze dei rialzi (quello di ieri è il decimo in 15 mesi), con le rate dei mutui spesso raddoppiate, il livello raggiunto ieri rimane comunque molto inferiore all’inflazione (4% verso 5,6%, assunta come media per quest’anno) e a quelli americani, al 5.25-5,50%, contro un’inflazione, in quel Paese, a fine agosto, del 3,7%. In sostanza, se nei prossimi mesi si confermassero le attese scaturite dalle parole ascoltate ieri, si potrà dire che “poteva andare peggio”.
Certo non si può prescindere dai risultati economici: se, a fronte di tassi del 4%, l’economia europea dovesse “sprofondare” in recessione (hard landing), gli scenari sarebbero ben diversi. Sicuramente, in quel caso, si leverebbero le voci di chi già oggi si lascia andare a dichiarazioni molto negative nei confronti delle autorità monetarie europee, accusate di non tener conto della situazione in cui si trovano molti Paesie di tenere un comportamento “cinico”.
Peraltro, la stessa Lagarde ha fatto capire che questa volta la decisione è stato piuttosto sofferta, con schieramenti opposti in forze quasi paritetiche. Motivo in più per pensare che il risultato raggiunto sia frutto di un compromesso: ok, procediamo all’aumento, a condizione, però, che si faccia chiaramente intendere che per il futuro si procederà con una cautela ancora maggiore, dando priorità alle “colombe”.
Cosa ci dicono le reazioni dei mercati?
In primo luogo di credere alle indicazioni ascoltare in conferenza stampa. La Banca Centrale, pur non potendo utilizzare la parola “pivot”, ha dato precise indicazioni che ormai siamo in quel territorio. Non è dato intendere quando i tassi cominceranno a scendere (senz’altro non prima del 2024), ma, comunque, ben difficilmente saliranno ancora. Per cui sin da ieri pomeriggio si sono visti movimenti al ribasso, soprattutto sui tassi “a lungo” (vd governativi decennali), e forse ancor di più sui futures che proiettano l’andamento dell’euribor 3 mesi, già in miglioramento rispetto al giorno precedente e ancor di più in un periodo di osservazione più lungo (per es, per il 2025 è passato, nel giro di pochi minuti, dal 3% al 2,8%). Il mercato, quindi, non sconta più altri rialzi.
In secondo luogo, di non credere in una recessione: le borse hanno immediatamente accelerato, con chiusure ovunque ben sopra l’1%, con gli investitori che sono rapidamente tornati in modalità “risk on”, in considerazione del fatto che i rendimenti obbligazionari sono visti in calo, mentre, invece, si pensa che la contrazione degli utili aziendali non sarà così evidente.
Peraltro, è probabile che “l’euforia” del momento possa, nel breve periodo, essere superata da un “sano” realismo. Non ci sarà da stupirsi, quindi, se dovessero arrivare giorni meno positivi, soprattutto in concomitanza della pubblicazione dei “soliti” dati macro. E il prezzo dei prodotti energetici (il petrolio continua a correre, con la benzina che da noi, anche ai self-service, ha superato i 2€ al lt) è destinato a creare ancora qualche “grattacapo”, facendo probabilmente, nel breve, salire di nuovo l’inflazione (mentre quella core dovrebbe continuare nel suo trendin discesa).
Chiusure positive, ieri sera, a Wall Street, con rialzi vicini al + 1% (da segnalare, al Nasdaq, l’avvio delle contrattazioni per Arm, società operante nel settore dei chip per intelligenza artificiale, che ha chiuso in rialzo del 25%).
Questa mattina crescono il Nikkei a Tokyo (+ 0,56%) e l’Hang Seng a Hong Kong (+ 1,00%), mentre, nonostante il buon andamento della produzione industriale, Shanghai perde circa lo 0,50% (perdita della settimana 0,6%).
Futures anche oggi ben impostati, soprattutto quelli europei, con incrementi che si avvicinano all’1%.
Petrolio ai massimi da circa 10 mesi, con il WTI sopra i $ 90 (90,85, + 0,77% anche questa mattina).
Gas naturale Usa a $ 2,704, – 0,26%.
Oro a $ 1.922, + 0,32%.
Spread in “ritirata”: dai 180 bp toccati ieri questa mattina passa a 173,5.
BTP al 4,33%.
Bund che scende da 2,63% a 2,59%.
Treasury Usa 4,27%.
In rafforzamento il $, sulle ipotesi che i tassi in Europa, come detto, siano ormai in vetta: infatti, troviamo l’€/$ a 1,0665.
Giornata “di festa” anche per il bitcoin, che questa mattina troviamo a $ 26.578.
Ps: si avvicinano le Olimpiadi invernali di Cortina (ma non solo di Cortina, vista “globalizzazione” regionale…). E, ovviamente, crescono, in parallelo, le polemiche. Questa volta riguardano la pista delle gare di bob. Uno sport che vede impegnati, in Italia, “ben” 8 atleti. Il costo dell’impianto è previsto in circa € 150 ML (in fase di assegnazione dei giochi si prevedeva un investimento di circa € 55ML). Naturale che si faccia un’analisi di “convenienza”: cosa ce ne faremo, finite le Olimpiadi, di un impianto che comunque è costato una cifra non così modesta e che non sarà utilizzato da nessuno? Senza contare il danno “ambientale” (si calcola che per far posto all’anello si debba tagliare 450 aceri). Per cui, vista la vicinanza di Innsbruck, comincia a farsi largo di un “trasloco” in territorio austriaco. Quindi si potrebbero avere Olimpiadi condivise…