Oggi “l’industria” del Risparmio gestito, composto in prevalenza dai Fondi comuni di investimento, oltre ad essere una componente fondamentale per il conto economico di Istituti di credito e per le società di distribuzione di servizi finanziari, è entrata a far parte degli strumenti maggiormente utilizzati nell’ambito degli investimenti da parte delle famiglie italiane, permettendo di “entrare”, anche a chi non ne ha le competenze, sui mercati più evoluti e favorendo la partecipazione alla “catena del valore” delle aziende. Come molti sapranno, nel nostro Paese i primi Fondi Comuni sono nati nella prima metà degli anni 80, non appena il Parlamento e la Banca d’Italia approvarono la normativa che ne regolamentava la gestione e la distribuzione. Per molto tempo, e per alcune categorie di asset class ancora oggi, è stato identificato come uno strumento di investimento a “medio-lungo termine”. Peraltro, uno dei fondatori, nel nostro Paese, di quegli strumenti, nonché uno dei gestori di maggior successo, fonte di ispirazione e di emulazione per molti altri, era solito dire che il fatto che un fondo comune si ponesse un obiettivo (di rendimento) di medio-lungo termine non escludeva il fatto che “portasse a casa” dei risultati anche nel breve. Anzi, quasi sempre il risultato del medio-lungo termine è dato dalla sommatoria dei risultati ottenuti bel breve termine. Per cui ogni giorno l’attenzione e gli sforzi dovevano essere massimi, e la capacità di un gestore si misurava giorno dopo giorno, e non soltanto ad una “scadenza”, per lo più spesso imprecisata.
Similmente si può dire per l’attività di Governo. A “guidarlo” dovrebbero essere, in condizioni normali, obiettivi strategici di medio-lungo periodo (che di solito dovrebbero andare di pari passo con la vita del Parlamento, di cui ogni esecutivo è espressione), fermo restando la necessità di perseguire obiettivi di “giornata”.
I problemi nascono nel momento in cui i “problemi di giornata” fanno passare in secondo piano quelli di medio-lungo periodo, assorbendo ogni risorsa e ogni energia.
Quello che, in fondo, ha sempre contraddistinto il nostro Paese e l’azione politica di chiunque, salvo rarissime eccezioni, si sia susseguito nella guida. Colpa, evidentemente, del “populismo” che ha sempre contraddistinto il nostro modo di concepire la politica, che più che “dare un indirizzo” ne era “indirizzata, e di una certa predisposizione a rimandare la soluzione dei problemi, lasciando ad altri la “patata bollente”. Che ha portato, nel tempo, alla situazione che ben conosciamo: debito pubblico difficile da controllare, crescita ad intermittenza e poco lineare, riforme lente, burocrazia eccessiva, etc. Elementi che ci costringono a “navigare a vista”, non permettendo di lavorare, o facendolo con enormi difficoltà, come il PNRR (certo non “figlio”, comunque, della nostra politica) sta a dimostrare.
Il “qui e ora”, rappresentato dalla nuova Legge di bilancio, è fatto, quindi, di affannose ricerca di coperture, provvedimenti spesso improvvisati e fantasiosi (che in alcuni casi attirano ulteriori attenzioni, non positive, delle autorità europee, come sta succedendo, in questi giorni, sulla norma, emanata qualche settimana fa, sugli extra-profitti delle Banche), impossibilità di far fronte alle molteplici emergenze che continuano a manifestarsi. Le “regole”, elemento fondamentale in qualsiasi organizzazione, diventano quasi fonte di “fastidio”, arrivando, in molti casi, a ritenerle la “causa” del problema e un impedimento alla sua soluzione.
Con il passare dei giorni, quindi, le preoccupazioni degli osservatori, per quanto riguarda il nostro Paese, continuano ad aumentare, di pari passo con le difficoltà che si stanno manifestando nella stesura della nuova finanziaria.
Ne è una conferma il giudizio di Morgan Stanley, secondo cui lo spread entro la fine dell’anno dovrebbe nuovamente toccare i 200-210 bp, facendo “lievitare” il costo del debito pubblico, con i rendimenti del BTP decennale, “l’unità di misura” del debito, destinati ulteriormente ad aumentare (12 mesi fa era al 3,9%, oggi siamo al 4,4%). Ciò che preoccupa maggiormente è l’accoppiata deficit in aumento-crescita in diminuzione, il tutto complicato dal superbonus edilizio, un’idrovora che, in base agli ultimi conteggi, dovrebbe arrivare ad inghiottire, cumulativamente, una cifra intorno ai 130MD €.
Le chiusure in ribasso ieri sera a Wall Street invitano alla cautela gli investitori orientali.
Questa mattina troviamo gli indici improntati alla debolezza, peraltro con cali contenuti tra lo 0,2 e lo 0,5%.
Si distinguono le società del settore immobiliare cinese, che anche oggi evidenziano un rimbalzo, grazie anche all’accordo tra Country Garden e i propri creditori.
Debole anche la borsa indiana (Mumbai – 0,2%) nonostante dati macro estremamente positivi per l’economia di quel Paese (produzione industriale + 5,7% a luglio, più del previsto, inflazione 6,8%, meno del 7,1% stimato dagli analisti).
Futures in leggero calo un po’ ovunque.
Riprende la sua marcia il petrolio, con il WTI che si porta ad un passo dai 90$ (88,99).
Gas naturale Usa a $ 2,746, stabile.
Nuova, modesta, discesa per l’oro, che si “aggrappa” a $ 1.914.
Spread che avanza ancora, portandosi oltre i 175 bp (175,2), trascinando verso l’alto il rendimento del BTP, arrivato al 4,38%.
Bund a 2,63%.
Treasury Usa a 4.28%.
€/$ sui livelli di ieri, a 1,0736.
Bitcoin che torna a sfiorare i $ 26.000 (25.904).
Ps: un “classico” della politica italiana è il “valzer delle poltrone”. Un vero e proprio “caso di scuola” è la RAI: ad ogni avvicendamento politico consegue, quasi immancabilmente, quello dell’Amministratore delegato. L’ultimo a farne le spese è stato Carlo Fuortes, “sollevato” pochi mesi fa dall’incarico e per il quale era stato individuato il ruolo di sovrintendente al Teatro S. Carlo di Napoli. Dove, però, il sovrintendente c’era, e ben saldo (Stephane Lissner, 70 anni, francese) nominato dalla Fondazione dello stesso Teatro Lirico e dal Comune di Napoli. Che per “far spazio” all’ingombrante ex AD della Rai, è stato a sua volta “sollevato”, in base ad una norma creata ad hoc dal Governo, che prevede, per i sovrintendenti, un limite di età, guarda caso, di 70 anni. Ovvio il ricorso del sovrintendente “sostituito”. A cui il Giudice del lavoro ha dato ragione. Per cui ora, a Napoli, abbiamo 2 sovrintendenti. Uno, evidentemente, è di troppo. Come sono, ancor di più (anche per altre ragioni) 2 AD in RAI, per cui Fuortes lì di certo non potrà tornare. Cercasi poltrona dispetaramente.