Si è concluso ieri, a Nuova Delhi, il vertice G20.
Difficile definire quale sia stato il risultato dell’incontro tra le i 20 Paesi più potenti al momento, a cui, per ovvie ragioni, non ha presenziato Putin: troppe le differenze (politiche, economiche, culturali) per arrivare ad una sintesi condivisa. Tant’è vero che anche sulla guerra tra Russia e Ucraina si è arrivati ad un generico comunicato di condanna in cui si criticano “invasioni” di Paesi dotati di “sovranità” da parte di altri, senza citare la Russia.
Summit così “ampi” diventano, quindi, spesso l’occasione di incontri bilaterali tra i vari capi di Stato e di Governo, piuttosto che una vetrina internazionale per confermare o meno le proprie idee su questo o quell’argomento.
Per quanto ci riguarda, sostanzialmente 2 sono i temi su cui si concentrano le attenzioni degli osservatori.
Il primo riguarda il nostro passo indietro rispetto all’accordo con la Cina sulla “via della seta” (Belt and road), il canale di scambi preferenziale tra i 2 Paese siglato a suo tempo dal Premier Conte (motivo forse di non così poco conto nella decisione), per quanto il nostro export verso quel Paese abbia toccato l’anno scorso una cifra non indifferente, pari a $ 3 MD.
Il secondo, almeno nel breve, toccando i rapporti con la UE, ha probabilmente una valenza superiore.
E’ ormai noto a tutti che il dialogo con Bruxelles non è dei più semplici: i più di un’occasione sono emerse divergenze tra il Governo e la UE sui più svariati temi, dal PNRR al ripristino del Patto di stabilità per arrivare ai migranti. La presenza, al vertice indiano, del Commissario UE per l’economia, Paolo Gentiloni, ha offerto un nuovo motivo di polemica, questa volta sulla vendita di ITA a Lufthansa. Di fatto, l’accusa che viene mossa al nostro “rappresentante” a Bruxelles è di “non prendersi a cuore” gli affari italiani, dimenticando che, nel momento in cui si assumono incarichi “internazionali”, si presta giuramento sul proprio impegno a operare per il bene dell’organizzazione per cui si opera, e non, in primis, per il Paese di provenienza. Già al convegno Ambrosetti di una settimana fa a Cernobbio erano emerse critiche al Commissionario all’Economia un po’ “improprie”, non passare inosservate. Critiche riprese con più forza a New Delhi, che, se dovessero protrarsi, potrebbero ulteriore complicare il percorso della nuova Legge di stabilità che sta prendendo forma in queste settimane.
Alzare il tono delle contrapposizioni può non aiutare: o si parla sapendo di avere il sostegno di altri Paesi (meglio se forti, rappresentando, quindi, un malessere comune) o il rischio è di rimanere ancora più isolati e con “il cerino in mano”. In più, “personalizzare” gli attacchi non giova: anche perché può risultare assai difficile avere la “prova provata” che alcuni comportamenti sono ostativi in quanto derivanti da idee politiche differenti (visto lo schieramento di provenienza del Commissario Gentiloni). Certamente lo stesso Mario Draghi, non più tardi di qualche giorno fa, ha criticato “l’immobilismo” e la “paura al cambiamento” della UE su alcuni argomenti (vd patto di stabilità), ma, al di là della sua autorevolezza, il modo in cui il problema viene posto può far la differenza.
L’ulteriore rischio è che si cominci a pensare, con troppo anticipo, alle elezioni europee del prossimo anno, perdendo di vista la priorità più importante, vale a dire “mettere in sicurezza” i conti del Paese con una legge finanziaria adeguata alla difficile congiuntura in atto: da tempo si parla di “autunno caldo”, rievocando una definizione molto di moda negli anni 80, visti i molti problemi da affrontare (inflazione, rischio recessione, tassi che non accennano a fermarsi, occupazione in calo). Si fa largo, invece, la sensazione che si cominci a ragionare su ciò che “conviene di più” per farsi trovare pronti all’appuntamento elettorale: cosa meglio, quindi, di qualche slogan o di qualche battaglia “ideologica” (come spiegare, altrimenti, l’invito di Salvini a Marie Le Pen, leader di una forza anti-sistema di un Paese nostro alleato).
La settimana si apre all’insegna della volatilità per i mercati del Pacifico.
Ad una borsa di Shanghai in crescita dello 0,85%, si contrappongono il Nikkei a Tokyo, in calo dello 0,5%, e, a Hong Kong, l’Hang Seng, che scende dell’1,1%.
Futures ovunque in crescita, con rialzi tra lo 0,30 e lo 0,40%.
Petrolio ancora sostenuto, con il WTI a $ 87 (- 0,61%).
Gas naturale Usa a $ 2,55 (- 2,26%).
Oro a $ 1.934 (+ 0,39%).
Spread sempre “in quota”: questa mattina lo troviamo a 172,6 bp.
BTP a 4,33%.
Bund a 2,60%.
Treasury a 4,29%.
Stabile l’€/$, a 1,073.
Bitcoin che continua a muoversi intorno ai $ 26.000 (25.861).
Ps: oggi è l’11 settembre. La mente non può non andare all’11 settembre di 22 anni fa, una data che ha cambiato il mondo più di tante guerre. Ma è impossibile non ricordare quello che è successo, proprio 50 anni fa, in Cile, uno dei colpi di stato più drammatici e cruenti che le storia recente ricordi, con una dittatura destinata a durare quasi 17 anni.