Secondo la Premier Meloni, “fagocitata” dalla presenza al Gran Premio di Monza, “l’Italia deve correre di più”.
Indubbiamente non era necessaria la partecipazione alla gara di F1 per giungere ad alcune conclusioni.
Negli ultimi giorni sono emersi numeri che aiutano a comprendere il rischio congiunturale a cui rischiamo di andar in contro (a dire il vero in compagnia di altri Paesi).
L’occupazione, nel mese di luglio, ha subito un calo di oltre 73.000 unità: un dato che se fosse “attualizzato annualmente” porterebbe a circa 900.000 disoccupati in più.
Sempre su base annua, il credo alle PMI è sceso di oltre il 3,7%, a causa non solo delle peggiorate condizioni finanziarie (vd rialzo dei tassi), ma anche per la preoccupazione, da parte del molto imprenditoriale, che il futuro sarà meno roseo di quanto previsto (e sperato).
Ed è di venerdì il dato che aggiunge ancora più preoccupazione, con il PIL in calo, nel secondo trimestre, dello 0.4% (verso stime del – 0,3%), trascinato all’ingiù dai servizi e dall’edilizia (a proposito della quale non si fermano le polemiche sul 110%, che, secondo i conti del Governo, verrà a costare alle casse del Tesoro non meno di € 100 MD, rendendo ancora più complicata la stesura della Legge di Bilancio, vista la necessità di reperire le adeguate coperture, cosa non semplice in considerazione, appunto, del generale rallentamento economico, che provoca meno entrate, e del contestuale peggioramento delle condizioni finanziarie, con conseguente forte rialzo degli oneri sul debito pubblico).
Da qui il “pressing”, soprattutto da parte del nostro Paese, sull’UE affinchè slitti ancora il ritorno, dal 2024, della Legge di stabilità, con il famoso limite al 3% del rapporto deficit/PIL (i primi calcoli fanno pensare che ben difficilmente staremo sotto il 3,7/3,8%, con qualcuno che stima addirittura percentuali più vicine al 4%). O, per lo meno, si stabiliscano regole con consentano una maggior elasticità, con il nostro Governo che, al di là del rischio recessivo, comune a diverse economie europee, rievoca l’alluvione in Emilia o, ancora e sempre, il PNRR, sottolineando come spese “indifferibili e irrinunciabili” vengano “stralciate” dalla Legge di bilancio, andando quindi a diminuire il “numeratore”.
Che il nostro Paese faccia fatica (certamente non solo in questi ultimi anni) ce lo conferma anche un rapporto dello Studio Ambrosetti ai margini dell’omonimo summit che si è svolto nel week-end a Cernobbio.
Se guardiamo agli ultimi 30 anni, il salario medio attuale di un lavoratore italiano è, seppur di poco, più basso rispetto a quello del 1991: oggi siamo a $ 44.983 (circa € 41.500), all’epoca si trovava a $ 45.342, vale a dire circa $ 500 in più.
Un lavoratore tedesco (che comunque partiva da un livello maggiore) oggi mediamente guadagna $ 58.940, cioè ben $ 13.747 in più dei primi anni 90.
In Francia siamo a $ 52.764, vale a dire quasi $ 9.000 oltre i livelli dell’epoca. In Spagna il salario medio è $ 42.859, con un rialzo di circa $ 1.500.
Allo stesso tempo, siamo di contro in cima alla classifica dei giovani (età compresa tra i 15-29 anni) che un lavorano non ce l’hanno e neppure lo cercano, e neanche studiano (i così detti Neet): siamo, infatti, con il 18%, appena dietro alla Romania (19,8%). Tralasciando i Paesi Bassi, dove appena il 4% dei giovani sta “con le mani in mano”, in Germania siamo al 6,5%. Allo stesso tempo, quelli occupati, in età compresa tra i 20 e i 24 anni, sono appena il 31,5%, ben 19 punti in meno (50,5%) della media europea.
Ma forse ciò che deve maggiormente preoccupare sono le attese per il futuro: il 40% dei giovani italiani ritiene che sarà peggiore, il 49% vive nell’incertezza, il 45% dichiara che vuol passare la maggior parte del tempo in casa (da noi l’indipendenza economica la si raggiunge all’età di 30 anni, in Finlandia a 21,3 anni…).
Partenza “a razzo” della settimana nel Far East.
Dopo la forzata chiusura di venerdì, oggi a Hong Kong l’Hang Seng riapre con un + 2,42%, trascinato dal rimbalzo del settore immobiliare, dopo che Conutry Garden ha evitato la bancarotta.
Bene anche Shanghai, con l’indice che cresce dell’1,25%.
A Tokyo il Nikkei sale, invece, dello 0,70%.
Oggi mercati statunitensi chiusi per il Labor day.
Futures poco mossi, con l’Europa comunque vicina allo 0,30%.
Meno brillanti quelli USA, non superiori allo 0,20%.
Petrolio ai massimi da qualche mese a questa parte, con il WTI a $ 85,52.
Arretra ($ 2,698, – 2,57%) il gas naturale americano.
Stabile l’oro, a $ 1.954,70.
Spread a 167,7.
BTP a 4,22%. Bund al 2,54%.
Continua a rafforzarsi il $, con l’€/$ a 1,0794.
Bitcoin che non abbandona la soglia dei $ 26.000 (25.978).
Ps: la nazionale italiana di Basket è approdata ai quarti di finale ai mondiali in corso di svolgimento in Filippine. Domani si rinnoverà la sfida con gli USA, da sempre la squadra (per chiunque da battere). Però, mai dire mai, come dimostra la vittoria ottenuta (anche se si trattava di un’amichevole) nel 2004, dove Pozzecco, l’attuale commissario tecnico, però era in campo come giocatore.