E’ molto probabile che tutti gli imprenditori “metterebbero la firma” se il fatturato della propria azienda crescesse, un trimestre sull’altro, del 19% (e non si sta parlando di start-up, dove le differenze tra un periodo e l’altro possono essere notevoli, ma di realtà consolidate e presenti sul mercato da decenni).
Non sempre, però, numeri così evidenti sono sufficienti a tranquillizzare gli investitori.
Ne è una evidente conferma quanto si è verificato ieri con Richemont, uno dei principali marchi del lusso al mondo. Il gruppo con sede a Ginevra, che comprende marchiprestigiosi come Cartier, JWC, Montblanc, Chloé, per quanto abbiamo riportato risultati piuttosto positivi nel 1° trimestre 2023, con un incremento del fatturato appunto del 19%, con una punta del 32% sul mercato asiatico, ha visto le proprie quotazioni scendere di circa il 10% (trascinando al ribasso tutto il settore) sulle preoccupazioni che le vendite in Cina possano subire, già nel 2° trimestre (già chiuso), una discesa. Si sa che i mercati anticipano sempre le fasi, generando una certa discrasia e anche confusione (non sempre i dati sono di facile lettura, proprio in quanto tra loro molto difformi): il caso di Richemont è un evidente “caso di scuola”. E’ stato sufficiente che il dato sia stato, per quanto molto positivo, appena inferiore alle attese degli analisti per vedere “il bicchiere mezzo vuoto”.
Proprio ieri, infatti, sono stati resi i noti i dati cinesi relativi al 2° trimestre. Ne esce un quadro economico non troppo rassicurante. Vero che il PIL è cresciuto del 6,3% su base annua, ma il numero di deve confrontare con il 2° trimestre 2022, quando il Paese era in pieno lockdown, e quindi con le attività completamente ferme. Gli economisti si attendevano una crescita, anno su anno, di almeno il 7,3%; da qui il ribasso delle stime per il 2023, con una percentuale che Citigroup porta dal 5,5 al 5%, così come Morgan Stanley (che però partiva dal 5,7%). Guardando “dentro” i numeri, vediamo che le esportazioni (forse uno degli indici più importanti, in quanto rappresentativo di una situazione globale) sono diminuite, a giugno, dell’8,3% su base annua. Per quanto siano cresciute del 3,1% rispetto a 1 anno prima, le vendite al consumo sono crollate del 12,7% rispetto al mese di maggio. Meglio non va per l’occupazione, soprattutto per quella giovanile, per il terzo mese consecutivo oltre il (21,3%, il livello più alto dal 2018). E sul mercato sta arrivando un “esercito” di circa 12ML di neo-laureati. Per non parlare del settore immobiliare, da anni in crisi: proprio ieri Evergrande, società che abbiamo imparato a conoscere per il default di un paio di anni fa, ha annunciato che le perdite cumulate dal 2021 sono pari a $ 81 MD (sono in corso negoziati per la ristrutturazione del debito, pari a circa $ 334 MD a fine 2022).
Si possono ben comprendere, quindi, le reazioni del mercato a cui abbiamo assistito. Se a farne le spese, nella giornata di ieri, è stato in particolar modo il settore del lusso (oltre a Richemont, tutte le principali società, da LVMH a Kering a Hermes,hanno sofferto), le preoccupazioni sono che la debolezza cinese possa pesare sulla crescita globale. Se per le società del lusso le vendite in quell’area sono assolutamente fondamentali, comunque la solidità economica di Pechino è un passaggio obbligato perché l’economia dei Paesi occidentali possano continuare a crescere. Le minacce, quindi, non arrivano solo dall’eventuale recessione “pilotata” dalle Banche Centrali per porre un freno all’inflazione, ma anche dalle difficoltà di quella che è la seconda economia al mondo. Non a caso, proprio questa mattina il Governo ha annunciato misure tese a sostenere i consumi delle famiglie, anche attraverso l’erogazione di presti e finanziamenti a condizioni favorevoli da parte degli Istituti di credito.
Ieri sera i mercati Usa hanno chiuso le contrattazioni segnando nuovi rialzi (Nasdaq + 0,95%, Dow Jones + 0,22%, S&P 500 + 0,4%), con molti titoli che hanno fatto segnare nuovi massimi da 1 anno a questa parte.
Dopo JP Morgan, che venerdì scorso a presentato dati incredibilmente positivi), oggi è il turno di Morgan Stanley e Bank of America.
Le borse asiatiche questa mattina sono contrastate: sopra la parità a Tokyo il Nikkei (+ 0,30%), mentre Shanghai arretra dello 0,26%.
Più pesante il bilancio di Hong Kong, dove l’Hang Seng arretra di quasi il 2% (ieri era chiuso per l’imperversare di un uragano).
Futures ovunque appena sotto la parità.
Petrolio sui valori di ieri (WTI $ 74,28, + 0,07%).
Gas naturale Usa a $ 2,545, + 1,19%.
Oro a $ 1.962 (+ 0,22%).
Spread a 168 bp, con il BTP al 4,14%.
Bund 2,46%.
Treasury Usa al 3,79% (ieri 3,83%).
Sempre “relativamente” debole il $, con €/$ ancora sopra 1,124.
Bitcoin che rimane “aggrappato” ai $ 30.000 (30.047).
Ps: difficile negare che il mondo si trovi ad affrontare un’emergenza climatica. Guardando al nostro “giardinetto” dobbiamo fare i conti con temperature “africane”, difficili da sopportare. Ma anche i cittadini di molti altri Paesi non se la stanno passando proprio benissimo: negli USA, nella “Death Valley” (la Valle della morte, nomen omen) sono stati raggiunti i 56°, a Pechino i 52°, in Canada sono già andati bruciati, quest’anno, 10 ML di ettari di bosco. Un’evidenza che anche i bambini possono verificare: in un parco giochi in Texas uno scivolo esposto al sole ha raggiunto i 62°…