Mentre il mondo si interroga su quanto sta avvenendo in Russia (che gli eserciti mercenari possano tenere in ostaggio qualche dittatore in Paesi dell’Africa sub-sahariana non stupirebbe nessuno, diverso quando riguarda uno dei Paesi più influenti del pianeta, in grado cioè di spostarne gli equilibri politici), su come ne uscirà il suo leader e quali saranno le conseguenze sul conflitto con l’Ucraina, inizia oggi a Sintra, in Portogallo, l’ennesimo Forum annuale della BCE.
Ovviamente al centro dell’attenzione, ancora una volta, i soliti temi, o meglio, il “solito” tema, vale a dire l’inflazione, essendo quello il “sistema solare” attorno al quale ruota tutto: politica monetaria, rischio recessione, stabilità finanziaria.
La preoccupazione è sempre la stessa: la sua resilienza (oggi va di moda un’altra parola per descrivere la difficoltà per ridurla: vischiosità), che dovrebbe addirittura portare i prezzi “core”, al netto di energia e alimentari, le componenti più volatili, ad una nuova accelerazione al 5,6% (mentre quella generale è prevista in discesa, dal 6,1 al 5,7%). Ovvio che in una situazione simile si dia per scontato (parliamo di Europa) un nuovo rialzo dei tassi (fatto che, in realtà, i mercati scontano già, dando per certo, a luglio, un nuovo adeguamento verso l’alto dello 0,25%). Un andamento, quello dei prezzi, che non lascia tranquilli, allontanando sempre di più il raggiungimento del “target” del 2%, ormai spostato ai primi mesi del 2026 (quest’anno la “media” dei prezzi dovrebbe attestarsi al 5,4%, l’anno prossimo al 3%, per poi calare ad un livello leggermente superiore al 2% nel 2025).
Uno dei motivi per cui i prezzi continuano a mantenersi su livelli così elevati va ricercato nel mondo del lavoro. La contemporaneità nella crescita dei salari medi (anche se per una percentuale indubbiamente inferiore ai ritmi inflattivi) da una parte e il rallentamento della produttività (è noto come il PIL, salvo rare eccezioni, in diversi Paesi stia diminuendo) dall’altra, sta portando ad un aumento del costo unitario del lavoro. Facile comprendere il perché le aziende, pur a fronte di una caduta dei prezzi dell’energia (clamoroso il crollo di quello del gas europeo, sceso in circa 10 mesi, di quasi il 90%), con il petrolio che sconta il rischio di una, per quanto non grave, recessione, facciano fatica a “trasferire” sui prezzi tale vantaggio.
Una paura, quella sulla recessione, che sta cominciando a farsi notare anche sui rendimenti dei titoli governativi a medio-lungo termine. Seppur la BCE abbia alzato, come noto, di un altro 0,25%, pochi giorni fa, il livello dei tassi, stiamo assistendo, infatti, ad un aumento dei prezzi dei titoli (e quindi un calo del loro rendimento). Fenomeno che si verifica quando gli investitori ritengono certo un rallentamento economico e, quindi, la conseguente riduzione degli utili aziendali, che si traduce in minori dividendi. Si tende, pertanto, a “sostituire” il flusso derivante dai dividendi azionari con quello delle cedole dei titoli a “medio-lungo termine”: si compra, come è successo nell’ultima settimana, in quanto si ritiene che i rendimenti continueranno a scendere, per quanto l’istituto centrale sia impegnato in un’azione opposta. Da notare che, nonostante le molteplici difficoltà in cui ci troviamo, l’Italia ritenuto uno dei pochi Paesi dove la recessione “girerà” al largo, tant’è vero che i rendimenti dei titoli a breve termine (non oltre i 2 anni) di mantengono ad un livello inferiore rispetto alle lunghe durate (cosa che non avviene, per esempio, in Germania, dove stiamo assistendo “all’inversione” della curva, con il 2 anni che rende quasi l’1% in più rispetto al decennale).
Le vicende russe non sembrano, per il momento, impattare sui mercati.
In Asia, dopo 2 giorni di festività, riapre la Cina, con Shanghai che perde circa l’1,35%, riallineandosi, di fatto, all’andamento degli ultimi 2 giorni. Leggero calo (– 0,51%) anche per Hong Kong, mentre a Tokyo il Nikkei recupera la parità.
Il rialzo Seul, mentre ha chiuso appena debole l’Australia.
Futures, per quanto frazionalmente, positivi ovunque.
Leggero recupero per il petrolio, con il WTI che si avvicina ai $ 70 (69,53, + 0,42%).
Balzo del gas naturale Usa, a $ 2,783 (+ 1,76%).
Oro a $ 1.937, + 0,29%.
Spread a 159,5 bp, con il BTP al 3,97%.
Bund tedesco al 2,30%.
Treasury al 3,73%, dal 3,78% di venerdì.
€/$ a 1,0906.
“Tiene”, per quanto in leggero calo, quota $ 30.000 (30.229, – 0,82%) il bitcoin.
Ps: la Cassazione ha destituito, in via definitiva, una docente di Storia e Filosofia un Istituto superiore di Chioggia, assente 20 anni su 24 di insegnamento. La domanda non è tanto sulla legittimità del provvedimento (né potrebbero esserci dubbi), quanto piuttosto come sia possibile attendere così tanto (e arrivare sino alla Cassazione) per prendere una decisione avvalorata da un’evidenza così schiacciante. Peraltro accompagnata anche da giudizi assolutamente negativi sul pochissimo periodo in cui ha esercitato la sua professione.