In questi ultimi giorni, con l’avvicinarsi della scadenza dei primi giorni di giugno, crescono le preoccupazioni sul “debt ceiling Usa”, il tetto sul debito che può contrarre l’amministrazione americana, fissato per legge a $ 31.400 MD. Motivo per cui si stanno intensificando i contatti tra Biden e i leader dell’opposizione, al punto che pare che il Presidente Usa abbia deciso di ridurre la durata del suo prossimo viaggio in Giappone, dove è previsto il prossimo G7, per seguire da vicino gli sviluppi del negoziato. L’allarme comincia ad essere diffuso, in considerazione di quanto potrebbe succedere: 66 milioni di persone potrebbero non ricevere più l’assegno da parte della Previdenza sociale, rimanendo senza reddito, il blocco degli uffici pubblici porterebbe all’immediata perdita di lavoro per milioni di dipendenti dell’amministrazione statale, ma, soprattutto, si correrebbe il rischio di ritornare al 2008/2009, con oltre 8 milioni di disoccupati a causa della recessione, il cui arrivo sarebbe certo. Queste per citare solo alcuni dei possibili impatti che il default ci porterebbe.
Ma se l’attenzione è tutta rivolta verso il debito pubblico, non può passare inosservata anche la situazione in cui si trovano le famiglie e i cittadini americani.
Non è una novità che gli americani siano degli “spendaccioni”: gran parte dei loro prodotti vengono consumati all’interno dei confini nazionali e gran parte del PIL (circa il 70%) deriva dai consumi e dai servizi. Ma quanto ha di recente pubblicato la Federal Reserve qualche riflessione la fa nascere.
Solo nel 1° trimestre dell’anno, l’indebitamento privato è salito di $ 148 MD, portando il totale dei debiti delle famiglie USA a $ 17.000 MD. Una cifra enorme: la popolazione americana è oggi pari a circa 332 ML di persone. Ciò significa che ogni cittadino, anche l’ultimo nato, è gravato da un debito di circa $ 51.200. Tanto per rendere più comprensibile il dato, il debito delle famiglie italiane è stimato in una percentuale del 43% del PIL: quindi, supposto che il PIL italiano è stato, nel 2022, di circa $ 1.900 MD, ne deriva che il debito privato (riferito solo alle famiglie e ai cittadini) è pari a circa € 817 MD. Il che significa, essendo la popolazione intorno ai 59 ML di persone, che il debito privato pro-capite si aggira intorno a € 1.384 (che in $ fa 1.522 circa). Una bella differenza, non c’è che dire (e si tenga conto che gli italiani hanno fermi, sui cc, circa € 1.500 MD: la liquidità, cioè, è quasi il doppio del totale dei debiti….).
Come detto, questa montagna di debito ha una funzione molto importante, sostenendo, di fatto, la crescita americana.
Infatti, quel 70% di PIL di cui si è scritto poco sopra, si calcola, derivi, per circa il 20%, dai finanziamenti del credito al consumo: quindi il 14% del PIL Usa si basa sul debito. E’ evidente, quindi, che una riduzione del credito (già qualcosa si intravede come conseguenza della crisi che ha colpito parte del settore bancario americano) potrebbe portare ad una non indifferente contrazione della crescita americana. Che ne risulterebbe ulteriormente aggravata in caso di “shutdown”, cioè la chiusura degli uffici pubblici in caso di mancato accordo, che costringerebbe qualche milione di lavoratori a rimanere a casa senza stipendio. E, tenuto conto che già oggi, il costo del debito “si mangia” circa il 10% del reddito famigliare disponibile (ma il rialzo dei tassi non potrà che far crescere tale percentuale), è ovvio che ulteriori conseguenze non si farebbero attendere. Un buon motivo per portare Biden a trovare un accordo con gli avversari repubblicani, che continuano ad opporsi ad un aumento della tassazione e, allo stesso tempo, si ostinano a richiedere significativi tagli alla spesa pubblica (soltanto il famoso Inflation Reduction Act varato dall’amministrazione Biden l’estate scorsa vale, da solo, circa $ 370 MD: se dovesse seguire quanto gli chiedono gli avversari politici, equivarrebbe a smentire buona parte di quanto deciso, con una perdita di credibilità, già oggi ai minimi termini, che, in un anno pre-elettorale, lo porterebbe diritto alla sconfitta).
Nonostante le chiusure incerte di ieri sera a Wall Street (Dow Jones – 1,10%, Nasdaq appena sopra la parità), questa mattina assistiamo al quinto rialzo consecutivo della borsa di Tokyo, con il Nikkei che cresce di un altro 0,78%, mentre il Topix segna nuovi massimi che non si vedevano dal 1990.
Meno brillanti gli indici “Great China”, con Shanghai che arretra dello 0,40% e Hong Kong dell’1,13%.
Futures Usa intorno alla parità, mentre quelli europei segnalano un po’ di stanchezza.
Ripiega il petrolio, con il WTI che si riavvicina alla soglia dei $ 70 (70,26, – 0,95%).
Gas naturale Usa a $ 2,342, – 1,60%,
Ancora in calo l’oro, che si riporta sotto i $ 2.000 (1.992, – 0,13%).
Spread a 185,8 bp, con il BTP al 4,22%. A proposito di BTP, si apprendono cose nuove in merito all’emissione, prevista per i primi giorni di giugno, del BTP Valore, il nuovo “format” studiato per le famiglie e i privati. Già si sapeva che la durata sarà di 4 anni con un tasso crescente: intanto è stato dichiarato che il premio fedeltà (studiato per chi deterrà il titolo sino alla scadenza) sarà del 5 per mille (di solito, per il BTP Italia, che però ha una durata maggiore, è dell’8 per mille), mentre il tasso prevederà almeno 2 step, il primo della durata di 2 anni, con un incremento al 3°.
Treasury al 3,52%.
€/$ poco mosso, a 1,0861.
Bitcoin che “danza” sul crinale del $ 27.000 (26.962, – 0,28%).
Ps: è iniziato, ieri, il 76° Festival del Cinema di Cannes. Domani è prevista l’anteprima mondiale del quinto capitolo della saga di Indiana Jones, dal titolo Indiana Jones e il quadrante del destino, con sole 2 proiezioni, una di gala e una per la stampa. Posti andati immediatamente a ruba, con molti spettatori “vip” alla caccia dei biglietti. Prezzi modici: € 13.000 a biglietto. E non è prevista neanche la tessera “Amici del cinema”….