Forse la notizia più importante del week end (a parte l’addio di Fabio Fazio alla Rai, ma questa non è una notizia che ha un contenuto finanziario, a parte, ovviamente, l’impatto sui conti della Rai, visti gli incassi pubblicitari che garantiva) è la conferma del rating del nostro Paese da parte di Fitch a livello BBB, vale a dire 2 livelli sopra il “junk” (spazzatura): 2 “notch” appena oltre il “precipizio” ma sufficienti per allontanare l’incubo. Anche perché il giudizio è stato accompagnato dal rialzo delle stime sulla crescita, passate da un più che modesto 0,5% all’1,2%, a fronte di una crescita globale del 2,8% per l’anno in corso e del 3% per l’anno prossimo. Rimangono peraltro i dubbi sul un debito giudicato troppo elevato, per di più accompagnato da oneri finanziari sempre più crescenti a causa dell’aumento dei tassi. L’agenzia americana calcola che, nel 2024, gli interessi che serviranno a ripagare il debito saliranno al 4% del PIL (vale a dire tra i 70 e gli 80MD di €) contro una media del 2,3% dei Paesi UE di pari merito creditizio. Oneri che potrebbero salire ulteriormente nel caso in cui le strette non si fermassero, in quanto l’11% delle emissioni sono a tasso variabile e il 13% indicizzato all’aumento dei prezzi.
Parole di speranza, in questo senso, sono arrivate dal Vicepresidente della BCE, Luis de Guindos, che, in un’intervista rilasciata al Sole24ore, ha dichiarato che la Banca Centrale “è arrivata alla fase finale del viaggio di inasprimento monetario” e che si sta tornando alla normalità.
Secondo il banchiere centrale, il rischio di una recessione “vera” sono piuttosto limitati: le stesse previsioni di una recessione “tecnica” (2 trimestri consecutivi con crescita appena negativa) sono state, per il momento, disattese, mentre l’inflazione rimane la vera osservata speciale. Allo stesso tempo, viene ribadito che il sistema bancario italiano oggi è molto più solido rispetto a 15 anni fa, essendo più forti in termini di capitale e con una liquidità molto sostenuta, e avendo messo “ordine” ai propri bilanci.
Bilanci all’interno dei quali un voce molto importante è occupata dai titoli di debito pubblico: secondo un’analisi dell’ufficio studi di Deutsche Bank, oggi le banche italiane hanno “in pancia” almeno € 290 MD di bond governativi emessi dal Mef, a fronte di un’esposizione complessiva di circa € 640 MD in titoli governativi. Un’esposizione, quella in titoli governativi, pari al 16% dell’intero portafoglio, che corrisponde alla percentuale più alta tra i vari sistemi bancari, elemento che viene visto con una certa preoccupazione da parte della BCE per via della stretta dipendenza dal rischio di credito e del rischio sovrano.
Ragione che sta inducendo diversi istituti ad alleggerire la quota in titoli di debito pubblico. Fatto che indubbiamente costituisce una valenza positiva per quanto detto sopra, ma che “costringe” il Tesoro, già penalizzato dal Quantitative Tightening (la riduzione, con successivo azzeramento, degli acquisti di titoli di debito sovrano da parte della BCE), a trovare nuovi “clienti”, magari individuando nuovi strumenti ritenuti più attuali e “accattivanti”. In quest’ottica, per esempio, vanno viste le ultime emissioni di BTP Italia (quelli indicizzati all’inflazione italiana) e il prossimo collocamento, nei primi giorni di giugno, del nuovo BTP Valore (durata 4 anni, con tasso che aumenta di anno in anno, anche se non si conoscono ancora i dettagli), tutti strumenti indirizzati alle famiglie (non a caso la quota parte di debito detenuto dai risparmiatori “domestici” retail è tornata, nell’ultimo anno, a crescere).
Questa mattina i mercati iniziano la settimana con solidi rialzi.
A Tokyo il Nikkei sale dello 0,73%, portando l’indice ai massimi da fine 2021. Per non parlare del Topix, l’altro indice di riferimento, addirittura ai massimi da 33 anni.
Andamenti piuttosto positivi, dopo un avvio negativo, per i mercati Great China, con Shanghai che sale dello 0,64% e a Hong Kong l’Hang Seng che supera il 2%.
Positiva anche la borsa di Mumbai, sui massimi da inizio anno.
Futures che girano in positivo un po’ ovunque dopo le prime incertezze.
Debole anche oggi il petrolio, con il WTI che scende sotto i $ 70 (69,93, – 0,27%).
Gas naturale Usa a $ 2,28, + 0,44%.
“Sulle sue” l’oro, a $ 2.020.
Spread a 186,5 bp, con il BTP 4,17% dopo la conferma di Fitch.
Treasury a 3,46% dal 3,37% di venerdì.
$ in rafforzamento, con €/$ a 1,087.
Riprende quota il bitcoin, che torna sopra i $ 27.000 (27.330), in rialzo nei primi scambi di giornata (+ 1,89%).
Ps: uno dei detti più noti tra gli operatori di Wall Street è “sell in may and go away” (vendi a maggio e vai in vacanza). Affermazione però forse non così veritiera. Da una statistica, infatti, emerge che il mese più difficile (almeno per quel mercato) è settembre, almeno per quanto riguarda gli ultimi 10 anni, periodo in cui ha avuto un ribasso medio pari all’1%. Per non parlare del lunedì. Questo, infatti, sembrerebbe il peggior giorno della settimana: il periodo di osservazione, in questo caso, è addirittura di 95 anni: difficile, quindi, che si arrivi a conclusioni errate. Anche senza ricordare il terribile “lunedì nero”, vale a dire il 19 ottobre 1987. Un giorno che rimarrà per sempre nella memoria degli investitori, in cui la borsa americana perse, in una sola seduta, più del 20%.