L’essere umano, come noto, ha una grandissima capacità di adattamento. Aspetto che può valere per ogni cosa, dalle mutazioni climatiche a quelle più strettamente “sociali” e geo-politiche.
Le guerre sono una di queste: ciò che nell’immediato sembra la premessa di un conflitto globale, con conseguenze devastanti a livello economico ed umanitario, poi diventa quasi “normale”. Molti ricorderanno la “guerra del golfo” del 1990, scatenata, nell’agosto di quell’anno, dall’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq, con l’immediata risposta americana. Anche in quel caso sembrava che fosse imminente un conflitto mondiale, ma poi sappiamo come sono andate le cose. Certo, a ben pensarci da lì è partita l’escalation che poi ha portato all’aumento delle tensioni con il mondo estremista arabo che è sfociato nell’attentato delle Torri Gemelle e che ha provocato forse il più grande cambiamento delle nostre abitudini di vita (oggi anche quelle diventate “norma”), ma il conflitto bellico vero e proprio è ben presto terminato.
Quello ucraino, che oggi compie un anno, ha senza dubbio una durata maggiore per quanto riguarda i combattimenti, forse perché è partito da una potenza mondiale (almeno da un punto di vista militare), che porta tutti ad usare una cautela maggiore e una evidente difficoltà nell’individuare un percorso di pace (anche se forse qualcosa comincia a muoversi, come ci dicono fonti governative svizzere in merito all’esistenza di tentativo di negoziato tra le parti proprio in questi giorni). Anche questo ci ha portato, sintetizzando all’estremo, a dei cambiamenti profondi, nella fattispecie relativi ai consumi energetici (cosa che, comunque, ha certamente valenze piuttosto positive), ormai anche questa volta diventati “la norma”.
Stessa cosa vale, una volta di più, per i mercati. Nei primi giorni della guerra, complice l’avvio della nuova fase “rigorista” delle Banche Centrali, tutte le “classi di investimento” (ad esclusione delle materie prime, con particolare riguardo a quelle energetiche) hanno conosciuti giorni difficilissimi, che hanno contribuito non poco alle performance negative dell’anno scorso. Per poi, piano piano, stabilizzarsi e, dall’autunno scorso, a riprendersi. Certamente, anche in questo caso, le motivazioni sono diverse; ma, ancora una volta, i mercati si sono dimostrati e si stanno dimostrando “impermeabili” all’aumento delle forniture militari all’Ucraina da parte dell’Occidente, alle dichiarazioni di Putin sul rischio di una guerra nucleare, al fatto che i combattimenti continuino senza sosta, con un numero stimato, tra militari e civili, di oltre 350.000 vittime, con un Paese oramai ridotto in buona parte in macerie. In altre parole, il conflitto è stato sostanzialmente “derubricato” quasi ad un incidente di percorso, ritenendo (i mercati) ben più importanti, per il loro andamento, altri fattori prettamente economici. Tant’è vero che in qualsiasi analisi di case di investimento e banche d’affari vengono messi sotto esame crescita, occupazione, inflazione, politiche monetarie, mentre l’impatto del conflitto sulle varie economie, per quanto elevato, è valutato sotto controllo, a meno che non vi siano improvvisi e pericolosi colpi di scena (ma la discesa in campo, anche se per il momento piuttosto blanda, della Cina come “mediatrice di pace” fa pensare che il rischio si stia allontanando). Mentre, se dovesse “scoppiare” la pace, non c’è dubbio che i mercati “farebbero festa”, fornendo ulteriori motivazioni positive dopo quelle che, qua e là, stanno emergendo in giro per il mondo.
Ieri, a conferma di quanto sopra, i mercati americani hanno interrotto la sequenza negativa, legata ai dati macro più positivi del previsto (un’economia forte fornisce ulteriori motivazioni, dal punto di vista degli investitori, alle Banche Centrali per perseverare nei loro interventi restrittivi): il Nasdaq ha chiuso vicino al + 1%, il Dow a + 0,33%, mentre lo S&P 500 è salito dello 0,53%.
Questa mattina mercati asiatici contrastati: in rialzo Tokyo, dopo la chiusura di ieri per il compleanno dell’imperatore (lì si usa fare così…), che sale dell’1,30%, mentre sono in assestamento Shanghai (- 0,62%) e Hong Kong (- 1,41%). In calo anche Seul (- 0,6%).
I futures sono in rialzo in Europa (Eurostoxx + 0,35%), mentre sono in leggero ribasso a Wall Street (- 0,20/0,30%).
Questa mattina il petrolio continua il recupero iniziato ieri, con il WTI che si porta a $ 76,15 (+ 0,92%).
Gas naturale Usa di nuovo vicino a $ 2,5 (2,442, + 0,25%).
Oro sempre intorno a $ 1.830 (1.833).
Recupera lo spread, che scende a 188 bp, portando con sé anche i BTP, con il decennale passato al 4,37% dal precedente 4,45%.
Bund al 2,49%.
Treasury Usa in leggero ribasso, a 3,86% da 3,91%.
Forza relativa del $, che si porta a 1,059 vs €.
Torna sotto i $ 24.000 il bitcoin (23.810).
Ps: tempi duri anche per la BCE. Dopo 18 anni di bilanci in utile (a parte il pareggio del 2007), per il 2022 le cose non sono state particolarmente positive. Infatti, le perdite accumulate sono state pari a € 1,627 MD, a causa allo squilibrio tra l’aumento dei tassi a breve sulle passività della Banca Centrale nei confronti delle Banche centrali nazionali dell’area € e dal più lento adeguamento del rialzo dei rendimenti delle attività (come i titoli detenuti in portafoglio grazie all’acquisto per i vari programmi di aiuto). Perdita comunque assorbita dal Fondo di accantonamento, sceso da € 8,8 MD ad € 6,5 MD.