Da più parti arrivano segnali che lo stato dell’economia è migliore di quanto molte previsioni lasciavano intendere e, soprattutto, difficilmente subirà una pesante battuta d’arresto. Una conferma in questo senso ci arriva dal dato sulle vendite al dettaglio negli Stati Uniti, aumentate a gennaio del 3%, ben oltre l’1,9% stimato. E questa notte dal Giappone arrivano dati che ci dicono che le esportazioni sono aumentate, anno su anno, del 3,5%, grazie, soprattutto, alla vendita di semiconduttori.
Ma l’aumento dell’export non riguarda solo il Paese del “sol levante”: a guardare i numeri si può dire, infatti, che ha riguardato, per il 2022, un po’ tutte le economie.
Proprio ieri sono stati comunicati i dati definitivi relativi, per esempio, alle nostre esportazioni. Già si sapeva che, a novembre, anno su anno, erano ben superiori a quelle dell’anno precedente. A dicembre, per quanto in leggero calo rispetto al trend (+ 13,5%), abbiamo avuto, per il 14° mese consecutivo, un nuovo aumento, che ha portato il numero finale a € 625 MD, oltre 100 in più verso il 2021. Va detto che la fortissima variazione è dovuto per la quasi totalità all’aumento del prezzo finale dei prodotti (ben sappiamo quale sia stata l’inflazione media per il 2021), anche se, per una parte (circa + 3,5%) da un effettivo aumento della produttività. Un dato che pone il nostro Paese, in termini di crescita (non in valori assoluti) davanti ad economie tradizionalmente più forti, come la Germania (dove la crescita è stata “solo” del 13,7%, penalizzata dalla crisi del settore automobilistico), o anche della Francia, dove si l’aumento delle esportazioni si è fermato al 18,6%. Meglio di noi, invece, la Spagna, con + 23,7%. Da notare come il nostro Paese sia meno dipendente dall’Area UE rispetto ad altri Stati europei: la quota di vendite nell’Unione Europea si ferma al 52%, contro, per esempio, il 55% della Germania o il 56% della Francia.
Ovviamente, essendo, come detto, l’aumento dovuto in gran parte all’aumento dei prezzi, c’è “l’altra faccia della bilancia”: di pari passo, quindi, è aumentato, a parità di quantitativi (anzi, per quanto riguarda l’energia forse addirittura ridotti), il controvalore delle importazioni.
A livello europeo, solo per l’energia, sono stati spesi € 834 MD, circa 431 in più rispetto all’anno precedente, che porta il disavanzo europeo verso Paesi extra-UE a € 650 MD, solo in parte compensato dal manufatturiero (+ 219MD).
A livello Italia il valore delle importazioni ha raggiunto i 655 MD, ben 175 in più rispetto al 2021, che quindi porta in “rosso” il saldo commerciale, con – 30 MD, rispetto al + 40MD dell’anno precedente (era dal 2011 che non avevamo un dato così negativo, anche se il calo dei prezzi dell’energia, iniziato con settembre, sta riportando in attivo, mese dopo mese, i conti).
A proposito di conti, la crescita del PIL 2022, superiore alle attese (3,9% vso il 3,6%) fa sì che il rapporto debito/PIL scenda dal 145,7% indicato nella Nadef (Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanzia) della Legge di Bilancio al 145%. Questo se vogliamo vedere il “bicchiere mezzo pieno”. Se, invece, vediamo quello “mezzo vuoto”, prendiamo atto che, in termini assoluti, il debito pubblico è passato dai 2.678 MD del 31/12/2021 ai 2.762,5 del 31/12/22: altri 84,5 MD in più che gravano sulle nostre spalle. E che ci costringe a tenere alta “l’asticella” del PIL se non vogliamo tornare su percentuali che allarmerebbero non poco i nostri Partners europei e tutte le autorità monetarie internazionali.
Il buono stato dell’economia, a livello globale, porta gli investitori ad accantonare le preoccupazioni per i nuovi, quasi certi, rialzi dei tassi: ieri la Lagarde ha di fatto detto che il prossimo aumento (a marzo) sarà dello 0,50%, che porterà al 3% il tasso BCE sui depositi bancari e al 3,5% quello principale (3,25% sui prestiti marginali). Mentre dal mese di giugno la riduzione del Bilancio BCE (la vendita di titoli governativi) dovrebbe passare dagli attuali 15 MD a 25 MD.
Questa mattina gran parte degli indici asiatici confermano l’umore positivo. A Tokyo Nikkei + 0,71%, Hang Seng di Hong Kong + 0,74% (anche se in flessione rispetto ai massimi della prima mattinata), Kospi a Seul + 1,8%. In ripiegamento, invece, Shanghai, a – 0,96%.
Futures in rialzo ovunque, con l’Europa che sembra, al momento, avere una spinta maggiore.
In ripresa le materie prime.
Wti a $ 79,34, + 0,83%.
Gli fa eco il gas naturale Usa, a $ 2,502 (+ 1,09%).
Oro che si riporta verso i $ 1.850 (1.849, + 0,11%).
Spread a 183,9 bp. Il contemporaneo indebolimento del bund tedesco (rendimento 2,47%) porta il decennale al 4,32%, massimo di breve periodo.
Leggero indebolimento anche per il Treasury, al 3,78%.
€/$ a 1,0707.
Sprint per il bitcoin, questa mattina ben oltre i $ 24.000 (24.591).
Ps: lo stop imposto dalla UE, dal 2035, ai veicoli a combustibili fossili, sta provocando, come ovvio, molte discussioni. Se da una parte, infatti, si pone il problema della lotta all’inquinamento, dall’altra si apre il tema dei livelli occupazionali. La “transizione” industriale da fossile a elettrico, infatti, dovrebbe “costare cara” in termini di posti di lavoro, con circa 60.000 posti a rischio in Italia e 275.000 in Europa (da qui al 2040). La strada, peraltro, verso l’elettrico è piuttosto lunga, soprattutto da noi. Nel 2022 in Italia le vendite di auto elettriche si sono fermate al 3,7%, contro il 3,8% della Spagna, il 13,3% della Francia, il 16,6% del Regno Unito, il 17,8% della Germania. A dominare il mercato italiano ancora il benzina (26,.4%), il diesel (19,1%), mentre si sta affacciando l’ibrido (36,7%).