Ieri il Presidente Biden ha tenuto, di fronte al Congresso Usa, il tradizionale intervento sullo State of the Union, un appuntamento utilizzato non solo per rappresentare la situazione attuale del Paese e ribadire il ruolo della prima economia al mondo, ma anche, spesso, per varare un vero e proprio programma politico in vista delle prossime elezioni di fine 2024.
Nel suo discorso, come prevedibile, il Presidente Usa si è soffermato sui successi della sua amministrazione, a partire dall’occupazione, probabilmente il più importante, in considerazione della sua valenza, che va ben oltre il semplice aspetto economico. Si può dire che gli Usa siano in una situazione di “piena occupazione”, forti di un livello di disoccupazione mai così basso (3,4%): per ritrovare percentuali simili bisogna tornare alla fine degli anni 60, all’epoca della Presidenza Nixon. Dodici milioni: tanti sono i posti di lavoro rivendicati da Biden, una cifra enorme, anche se va ricordato che il suo mandato è iniziato subito dopo lo choc della crisi pandemica del 2020.
Al di là dei risultati ottenuti, sono state tracciate quelle che potrebbero diventare le linee guida nel caso di una sua conferma: introduzione di una speciale tassa sui buyback (il riacquisto di azioni proprie da parte di società, oggi tassato all’1%), introduzione di una minimum tax per i redditi miliardari (accusati di pagare aliquote inferiori a quelle di categorie come gli insegnanti e i vigili del fuoco) nonché ampliamenti all’assistenza sanitaria, vero anello debole del “walfare” americano. Al di là delle considerazioni sulla politica estera (in primis, come ovvio, la situazione nell’est europeo, con l’incondizionato appoggio all’Ucraina, e i rapporti con la Cina, tornati ad essere tesi dopo la vicenda del pallone aerostatica “spia” abbattuto sui cieli americani nei giorni scorsi), è stata ribadita l’importanza della “salute economica” (anche in chiave futura) del Paese.
Ecco il motivo per cui diventa fondamentale, per il Presidente Usa, “l’aiuto” che può venirgli in soccorso da parte di Jerome Powell.
Il Presidente Fed, durante il suo intervento all’Economic Club di Washington, ha ribadito ancora una volta che la Banca Centrale sta “presidiando” con attenzione l’evoluzione della situazione, soprattutto per quanto riguarda l’inflazione. Quello che per Biden è motivo di grande soddisfazione (oltre che la “carta” da giocare per la sua nuova candidatura), vale a dire l’andamento dell’occupazione, è per Powell fonte invece di una evidente preoccupazione: i 517.000 nuovi posti di lavoro creati dall’economia statunitense a gennaio diventano, quindi, lo spunto per ricordare che il rialzo dei tassi non è ancora finito. Anzi, se i “numeri” dovessero confermare uno “stato di salute” quasi ottimale, si potrebbe tornare a rialzi nell’ordine dello 0,50%, dopo la moderazione della settimana scorsa (+ 0,25%), con il “terminal rate” al 5-5,25% (oggi siamo al 4,5-4,75%). Rimane confermato, per la Banca Centrale Usa, l’atterraggio al 2% entro la fine del 2024, con il 2023 che, comunque, vedrà diminuire i prezzi in maniera significativa. Una mano, in questo senso, sembra arrivare dai salari, con la retribuzione oraria salita, a gennaio, del 4,4%, un livello inferiore rispetto al mese di dicembre, quando il rialzo è stato del 4,8%.
I mercati Usa ieri hanno nuovamente confermato come, in questo momento, il “bicchiere mezzo pieno” si sia preso la scena. A ruota dell’intervento di Powell, infatti, Wall Street ha preso il volo, con il Nasdaq che ha chiuso a + 2,12%, l’indice Dow a + 0,78% e lo S&P 500 + 1,29%. Ad “aiutare” gli indici Usa potrebbe essere stata anche la pubblicazione dei dati relativi all’andamento del credito al consumo, ben al di sotto delle stime, a significare come il caro vita stia frenando i consumi delle famiglie americane.
Questa mattina tutti gli indici di riferimento asiatici sembrano insensibili alle chiusure americane: per una volta Nikkei, Hang Seng e Shanghai sembrano “fare squadra”, con ribassi nell’ordine delle 0,30/0,40%.
Non così sembra vogliano fare i mercati europei, con i futures tutti in rialzo. Deboli, per il momento, quelli americani, con cali peraltro minimi.
Segnali di riscossa per il petrolio, con il WTI che nella giornata di ieri ha messo a segno un rialzo di oltre il 4%, a $ 77,20.
In recupero anche il gas americano, a $ 2.626, + 1,51% questa mattina.
Oro stabile, a $ 1.886,90.
Spread sempre in “orbita” 190 (187 questa mattina), per un rendimento del decennale a 4,22%.
Bund tedesco a 2,33%.
Treasury Usa a 3,64%, sui livelli di ieri.
€/$ stabile, a 1,073, dopo che nella giornata di ieri era sceso anche sotto 1,07.
Torna a “spingere” il bitcoin, a $ 23.216.
Ps: l’Etiopia, come noto, è uno dei Paesi più poveri del mondo (noi italiani dovremmo conoscerla bene…): il PIL del 2021 è stato di $ 110 MD, pari ad un pro-capite di $ 2.081 ($ 173 al mese). Ebbene, il suo Primo Ministro, Abiy Ahmed, ha iniziato la costruzione della sua nuova casa, nella capitale Addis Abeba, il cui costo pare si aggiri intorno a $ 1 MD. Facendo i conti, l’equivalente del reddito di 500.000 suoi connazionali.
E chissà se in Etiopia hanno l’ecobonus 110%…