Ancora una volta l’Italia conferma la sua “diversità” rispetto al “resto del mondo”. Pur limitando il campo di osservazione ai Paesi europei, i dati sull’inflazione non lasciano scampo. Siamo il Paese, tra gli Stati membri, con l’inflazione più alta: a dicembre il livello è stato fissato all’11,6%, 2 decimali in meno rispetto a novembre (con l’indice armonizzato europeo che passa dal 12,6 al 12,3%), con un’inflazione media pari all’8,1%. Per trovare un livello più alto bisogna tornare al 1985, quando fu del 9,2%. Il divario rispetto agli altri Paesi è evidente: 6,7 punti percentuali in più rispetto alla Francia, 5,6 rispetto alla Spagna, 2,7 verso la Germania. Numeri impietosi, che ci lasciano un’eredità pesante: l’inflazione “acquisita” (quella che si avrebbe anche in caso di un raffreddamento totale dei prezzi) per il 2023 è pari al 5,1% (era dell’1,8% ad inizio 2022). A preoccupare ancor di più il dato sull’inflazione core, quella, come noto, depurata dei fattori energetici ed alimentari, aumentata anche nel mese di dicembre, passata dal 5,6 al 5,8%.
Esercizio abbastanza semplice quello risalire alle cause. Da sempre il nostro è il Paese con la maggior dipendenza dalle forniture energetiche: gli aumenti choc del 2022 non potevano, quindi, non avere conseguenze sull’indice dei prezzi. Rispetto all’anno precedente, a dicembre il rialzo dell’energia è stato del 64,7% (in leggerissimo calo rispetto al 67,6% fatto registrare a novembre). In Germania, in questo ambito piuttosto simile a noi (sono passati i tempi del carbone della Ruhr), l’aumento si è fermato al 37,9% (42,3% il gas naturale), grazie anche al poderoso piano di aiuti stanziato dal Governo (€ 200 MD sino al 2025). Un discorso a parte vale per la Francia, emancipata, sotto il profilo delle forniture energetiche, dal nucleare, mentre la Spagna ha il maggior numero di degassificatori (ben 6, il doppio di quelli presenti in Italia).
Qualche nube, all’orizzonte, quindi ancora c’è. In un contesto simile, per quanto siano evidenti le ragioni degli aumenti (si azzardano le prime previsioni per il 2023: secondo l’Unione Consumatori la spesa media, per una famiglia con 2 figli, aumenterà di circa € 2.766), diventa difficile ritenere che la BCE riveda la propria strategia di politica monetaria. Oggi verranno reso noti i dati riferiti all’area €: avremo quindi la conferma o meno di quanto emerso già in diversi Paesi. Se è vero che l’inflazione sta “limando” più del previsto, è anche vero che quella “core” continua a rimanere sostenuta, se non addirittura a crescere, spingendo l’autorità monetaria ad un atteggiamento di maggior cautela.
Ancora peggio, sotto questo aspetto, quanto sta succedendo negli USA, dove le ipotesi di recessione per il momento non si stanno concretizzando. E’ di ieri, infatti, il dato relativo all’andamento del mercato del lavoro nel settore privato, che ha fatto registrare un aumento di 235.000 occupati (oggi èp atteso quello globale), ancora superiore alle attese (da qui la nuova chiusura negativa di ieri di Wall Street, con il Nasdaq in calo dell’1,59% e il Dow Jones dell’1,02%), che conferma ancora una volta come, dall’altera parte dell’oceano, la spinta al rialzo dei prezzi derivi quasi esclusivamente dal lato della domanda.
Le attese, dunque, sono per un rialzo dei tasso almeno sino al 3% in Europa (ora siamo al 2,50%) e al 5% negli Usa (ora nel range 4,25-4,50%). Una strada pressochè obbligata se si vuole bloccare la spirale dei prezzi, “missione” urlata a destra e a manca dalle Banche Centrali.
I dati di ieri, come detto, hanno, almeno in parte, raffreddato gli umori degli investitori, con i mercati europei ed americani in calo (piuttosto contenuto quello registrato in Europa, più evidente quello americano). Una pausa che però non ha contagiato i listini asiatici. Questa mattina a Tokyo Nikkei che sale dello 0,6%, appena sopra la Cina, con Shanghai a + 0,10%, mentre a Hong Kong l’Hang Seng arretra di un modestissimo 0,2%, comunque facendo registrare un rialzo settimanale del 6,1% (+ 3,3% Shanghai).
Futures in rialzo ovunque, anche se con percentuali marginali (oggi i mercati sono operano normalmente).
Segnali di stabilizzazione per il petrolio, dopo i forti cali degli ultimi giorni. Questa mattina il WTI è a $ 73,82, + 0,10%.
Continua invece il calo del gas naturale americano, che si porta ben sotto i $ 4, a $ 3,605, – 3,31%.
Sempre volatile quello europeo, trattato allo snodo di Amsterdam, ieri in rialzo di circa il 7%, a € 69,7.
Oro a $ 1.844, + 0,14%.
Spread in leggero calo, a 200bp, per un rendimento del BTP in area 4,30%.
Treasury fermo a 3,71%, insensibile ai dati sull’occupazione americana.
In rafforzamento invece la moneta unica, con €/$ a 1,0525.
Bitcoin sempre “impaludato” tra i $ 16.500 e i $ 17.000: questa mattina lo troviamo a $ 16,787,30, – 0,23%.
Ps: e quindi, a breve, potremmo cambiare macchina (più o meno) ogni giorno. Dopo 2 anni di “chiusura forzata” per pandemia, a Las Vegas è in corso di svolgimento il CES (Consumer Electronic Show), la principale fiera mondiale della tecnologia. L’occasione, per la BMW, di presentare il prototipo Dee (acronimo di Digital emotional experience), un’automobile la cui carrozzeria, grazie alla copertura con fogli di carta elettronica a base di “inchiostro elettronico a colori”, praticamente la stessa tecnologia degli e-book, può cambiare colore in ogni momento. Un attentato alla privacy: in base al colore dell’auto chiunque, un domani, sarà in grado di capire di che umore siamo….