“L’onda rossa” (intendendo per tale il trionfo del Partito Repubblicano nelle elezioni di Midterm) non c’è stata. Se sono state confermate le previsioni che vedevano vincitore il Partito conservatore, non così è stato per le sue dimensioni: in molti Stati la “tenuta” del Partito democratico è stata superiore alle attese e, paradossalmente, è uscirne peggio, per quanto vincitore (certamente alla Camera, mentre al Senato ci vorrà qualche giorno, se non settimane, per capire come è andata a finire, con 3 seggi in bilico, determinanti per stabilire il risultato finale), è stato il Partito Repubblicano, al cui interno si preannuncia una “sfida all’ultimo sangue” per stabilire chi sarà il candidato alle prossime Presidenziali (anche se Trump da per scontata la sua candidatura, frutto di un ego e di una autoreferenzialità che non conoscono limiti).
Certamente l’Amministrazione Biden (anche lui tentato dalla ricandidatura: piccolo handicap, nel 2024 avrà 82 anni) non potrà non tener conto che almeno in uno dei 2 rami del Parlamento non avrà, come oggi, la maggioranza: da qui le prime dichiarazioni del Presidente che invita alla collaborazione e ad un lavoro “comune”. Se la politica è l’arte del compromesso, mai come in queste situazioni trova conferma. “Intestarsi” una scelta politica o qualsiasi decisione in campo economico (tema dominante in questa fase, con i cittadini americani che si sentono ogni giorno più poveri a causa di un’inflazione sempre vicina all’8%: a proposito, oggi sono attesi i nuovi dati, con le proiezioni che fanno pensare ad un calo, seppur leggero, passando dall’8,2% di settembre al 7,9% di ottobre, con l’inflazione core, al netto dei prodotti più “volatili” – energia ed alimentari – che dovrebbe attestarsi al 6,65%, dato ancora piuttosto preoccupante per gli “standard” americani) sarà difficile. A trarne vantaggio, a leggere le dichiarazione di qualche analista, potrebbero essere i mercati: lo “stallo” non dovrebbe favorire ulteriori aumenti del debito pubblico, aspetto tenuto in gran conto dagli operatori.
A condizionare l’andamento futuro potrebbero essere anche le notizie provenienti dal fronte bellico. Sebbene sia ancora prematuro disegnare scenari certi, il ritiro delle truppe russe da Kherson, una delle città simbolo della guerra, indica che qualcosa sta cambiando. Ormai è noto il lavoro “sottotraccia” delle diplomazie (in primis Usa e Cina) per mettere “seduti” al tavolo di una trattativa degna di questo nome i contendenti; se a questo si aggiunge una sorta di “ritirata” da parte degli invasori (rimane da capire, dettaglio non di poco conto, se si tratti di una propria e vera strategia oppure di un semplice tatticismo, premonitore di un contrattacco, peraltro improbabile visto “l’allentamento della presa” anche in altre zone), molte cose sembrano deporre verso una fase nuova del conflitto.
Tornando agli aspetti prettamente economici, i dati di oggi sull’inflazione Usa assumono un certo rilievo in quanto potranno dare indicazioni sulle prossime mosse della FED, vale a dire se proseguirà sulla linea del rigore senza se e senza ma, con il 5° rialzo consecutivo dello 0,75% (mai la Banca Centrale americana è arrivata a tanto), o se, invece, potrebbe “ammorbidirsi”, accontentandosi di un rialzo dello 0,50%, cosa possibile se il calo fosse superiore alle attese (il 7,9% citato sopra). Un peso non indifferente lo avranno, ovviamente, le notizie provenienti da occupazione e crescita: se entrambe dovessero dare segni di debolezza, più forte sarebbe la voce di chi invita ad una maggior cautela.
Per quanto riguarda le vicende “domestiche”, ormai è aperta la “trattativa” con l’Europa per un “adattamento” del Patto di stabilità, in modo da scongiurare, dall’anno prossimo, almeno per quanto ci riguarda, il ritorno al 3% di deficit. E’ evidente che qualcosa “sul piatto” dovremo mettere per ottenere l’indulgenza delle Istituzioni europee (e di qualche Paese, vedi Olanda, non particolarmente entusiaste del dibattito): come già succede per il PNRR (su cui il Governo torna ad essere piuttosto critico nei confronti di chi lo ha preceduto), in sostanza dovremo dar prova di “fare bene i compiti”. Che è un po’ come mandare in soffitta il “sovranismo”, cosa che evidentemente non dispiace a molti osservatori (e ancor di più ai mercati).
La frenata di ieri sera a Wall Street (Nasdaq – 2,37%. Dow – 1,95%, S&P – 2,10%) condiziona le piazze asiatiche, con cali diffusi, seppur con impatti diversi: Shanghai – 0,39%, Nikkei – 0,98%, Hong Kong – 1,64%.
Futures positivi oltre oceano, mentre in Europa “pagano”, al momento, il prezzo della discesa Usa.
In calo le materie prime: petrolio (WTI) a $ 85,50 (- 0,50%), gas naturale Usa a $ 5,837.
Oro di nuovo vicino a $ 1.700 (1.711).
Si conferma stabile lo spread, sempre a 210 bp. BTP in recupero, con il rendimento che torna verso il 4,30%.
Idem il Treasury Usa, al 4,08% (4,13% ieri).
Continua l’apprezzamento dell’€: questa mattina scambia a 1,0015 verso $.
Ancora “mare mosso” per le criptovalute: dopo un’analisi dei conti, Binance ha annunciato una retromarcia sulla salvezza di Ftx, la piattaforma sull’orlo del fallimento per la crisi di liquidità. Tutte le criptovalute, ieri, hanno visto precipitare le loro quotazioni, con Ethereum che è arretrata di oltre il 18%, e il Bitcoin che, dopo ave perso un altro 15,8%, è tornato ai livelli di 2 anni fa. Questa mattina assistiamo a “prove di rimbalzo”, con le quotazioni tornate, per la principale criptovaluta, a $ 16.100.
Ps: chi non conosce crisi è la Ferrari (parliamo del “fascino” del brand, non delle prestazioni del team F1…): ieri a Ginevra, in un’asta tenuta da Sotheby’s, è stata venduta la F2003-GA, l’auto con cui Michael Schumaker trionfò al mondiale del 2003. Prezzo? € 13,1 ML. Bazzeccole.