Uno dei “lasciti” della crisi finanziaria del 2012, una delle più gravi che si ricordino (insieme, probabilmente, a quella del 1992 che portò alla drammatica svalutazione della nostra moneta – all’epoca esisteva ancora la lira – e alla manovra “monstre” da 100.000 MD da parte del Governo) è il record della spesa per interessi sul debito. Causa lo spread a 536 bp, forse il picco più alto mai toccato dall’Italia, quell’anno il Tesoro arrivò a pagare la bellezza di € 86,7 MD, pari al 5,5% del PIL: evidentemente un livello insostenibile per chiunque, a maggior ragione per un Paese con un problema di crescita economica come il nostro. La corsa dei tassi a cui stiamo assistendo, in Europa, da inizio estate sta continuando, tra le tante cose, a far crescere, come ovvio, anche quella voce: soltanto dal 27 settembre us, data in cui l’uscente Esecutivo a guida Draghi ha presentato la Nadef,presa in esame dal nuovo Governo lo scorso 4 novembre, l’aumento è stato di oltre € 1,5 MD, che diventano € 13,2 da qui al 2025. Anno in cui, in base alle proiezioni del Ministero delle Finanze, si dovrebbe toccare il nuovo record di € 88,2 MD di spesa per interessi (pari al 4,1% del PIL, inferiore, quindi, al 5,5% del 2012, ma superiore al 3% già messo in conto dal Def di aprile 2022). Quest’anno il nostro Paese dovrebbe spendere, per interessi, circa € 77,2 MD, cioè il 22,8% in più rispetto allo scorso anno, quando ci si fermò a € 62,9 MD. Soltanto ad aprile (7 mesi fa) le previsioni di spesa erano di 65,9 MD, ben 11,3 MD in meno rispetto ad ora. Questa progressione la dice lunga su quali possono essere i rischi se la politica di maggior rigore della BCE (e con essa, in senso più ampio, di gran parte delle Banche Centrali del mondo) dovesse protrarsi a lungo: la “forbice” diminuzione della crescita (se non addirittura recessione) – aumento della spesa per interessi (causata anche, in alcuni casi, non solo dalla crescita dei tassi, ma anche dall’aumento del debito – rischio altamente probabile, per esempio, per il nostro Paese)potrebbe ulteriormente “tagliare le gambe” al ripresa, aumentando ancor di più il divario tra le economie d’Europa.
Un po’ quello che si è sentito dire il nostro Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, nei vari incontri avuti ieri a Bruxelles con le varie istituzioni europee, a cominciare dal Commissario per gli Affari economici, Paolo Gentiloni: va bene il deficit del 4,5% per l’anno prossimo e del 3,7% per il 2024 (contro il 3,9% e il 3,3% programmati dal Governo Draghi), ma in assenza di adeguate strategie di crescita rischiamo di allontanarci sempre di più dai parametri richiesti dagli accordi europei (non va dimenticato che dall’anno prossimo torneranno ad essere attive le regole di bilancio europee). Preoccupazioni non isolate: si deve, infatti, ragionare anche sul fatto che l’Italia dovrà continuare a “piazzare” sul mercato i propri titoli di Stato. Per il 2023 si parla di circa € 90 MD, un livello piuttosto alto. Che diventa altissimo se si pensa che si dovrà fare a meno della BCE, che limiterà i suoi acquisti ai titoli in scadenza e non procederà, invece, a nuovi acquisti: tanto per rendere l’idea, solo nel 2023 si prevedono scadenze per € 406 MD, contro i 369 MD di quest’anno e i 387 MD del 2021.
Un aiuto ci arriva dall’ormai “indispensabile” PNRR: oggi, infatti, la Commissione Europea erogherà la seconda rata del Piano, per € 21 MD. Che, rispetto ai 406 MD di cui sopra, possono sembrare una goccia nel mare, ma che, nei fatti, equivalgono quasi ad una manovra finanziaria. Senza contare che i mercati, in questa fase, sembrano dare fiducia al nostro Paese, se è vero, come è vero, che, nonostante l’aumento del deficit, lo spread praticamente non si è mosso (anzi, questa mattina è in calo a 212 bp): nel 2018, all’epoca del Governo “giallo-verde”, un aumento analogo (anzi, addirittura inferiore) provocò, invece, movimenti ben peggiori.
Mercati asiatici di nuovo “disallineati”: a fronte di Tokyo e Seul positivi (con il Nikkei a + 1,25% e Kospi a + 0,9%), si contrappongono Shanghai e Hong Kong, rispettivamente negative dello 0,43% e dello 0,55%.
Futures che lasciano prevedere aperture negative un po’ ovunque, con discese peraltro contenute.
Petrolio in leggero calo, con il WTI a $ 91,60 (- 0,32%).
Gas natutrale Usa a $ 6,613 (- 4,93%). In discesa anche quello europeo allo snodo di Amsterdam, a € 121,25 (- 1,34%).
Oro a $ 1.672,90 (- 0,55%).
Spread, come detto, a 212 bp, con i BTP al 4,35/40%.
Treasury a 4,23%.
€/$ intorno alla parità (0,9993).
Pesante arretramento per il Bitcoin, che scende sotto i $ 20.000 (19.771, – 4,30%).
Ps: fra tante notizie negative, a proposito di clima (tipo che, per il nostro Paese, il 2022 è stato l’anno più caldo dal 1800 – e quindi, forse, di sempre: non è chiaro come in precedenza venissero rilevate le temperature – con un aumento di quasi 1° (0,96°), finalmente una positiva: il buco dell’ozono, sulla calotta antartica, continua a ridursi. A inizio ottobre ha raggiunto i 23,2 ML di kmq: un’area ancora sconfinata, ma in costante diminuzione. Anche se, sempre parlando di clima, proprio ieri il Segretario Generale ONU, Guterres, alla conferenza della Cop 27in corso a Sharm-el- Sheikh, ha dichiarato che “stiamo correndo verso l’inferno”…