Nell’aprile 2020, nel pieno della crisi pandemica e dei primi lockdown, le quotazioni del petrolio WTI finirono sotto zero, sino ad arrivare a – 37$ sotto la spinta dei contratti futures in scadenza, per l’impossibilità di ulteriori consegne nei “depositi della borsa (il Nymex, il mercato di riferimento per i futures sul greggio). Una evidente distorsione del mercato: in sostanza, chi deteneva, ovviamente sotto forma di contratti di borsa e non di barili “fisici”, il greggio americano (appunto WTI) era disposto a pagare sino a $ 37 pur di liberarsene, immaginando che i depositi, da lì a poco, sarebbe stati nell’impossibilità di ricevere nuovi stoccaggi.
Ieri, al Ttf (Title Transfer facilitry) di Amsterdam è andata in onda la “seconda puntata” del fenomeno, questa volta dedicata al gas europeo. Per la 1° volta, seppur per qualche minuto, il prezzo è sceso sotto zero, arrivando a segnare – 15€ per megawattora. Le cause, più o meno come allora per il petrolio, vanno ricercate nel fatto che, a causa anche di una fase climatica eccezionalmente favorevole, in Europa ci si trova con riserve di combustibile al momento superiore alle previsioni, con conseguente forte calo della domanda. Una situazione senza dubbio eccezionale, destinata peraltro a durare poco: vero che molti Paesi (Portogallo, Francia, Belgio) hanno i depositi pieni, con gli stoccaggi al 100% della capacità ricettiva, e molti altri vicinissimi al “tutto esaurito”, ma da qui in avanti è presumibile che i consumi tenderanno a crescere, toccando il picco nei primi mesi del nuovo anno, periodo in cui non è escluso che si possa arrivare anche al contingentamento dei consumi.
Intanto, grazie anche agli spiragli, a livello europeo, sul price cap (oggi in Lussemburgo si svolgerà l’ennesima riunione dei 27 Ministri dell’Energia, dopo l’accordo in extremis di giovedì scorso tra i Paesi membri UE sulla via di una definizione delle misure da assumere per contenere i prezzi), ieri le quotazioni sono scese sotto € 100 (96,5), in calo di circa il 15%: una diminuzione di oltre il 70% dai massimi di agosto.
A conferma delle “zone d’ombra” del mercato, certamente non così “trasparente” e rappresentativo dell’effettivo incontro di domanda e offerta, la logica che dovrebbe guidarlo sempre. Ragion per cui, raccogliendo, almeno in parte, la proposta del nostro precedente Ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, oggi consigliere del nuovo Ministro Gilberto Pichetto Fratin, secondo il quale il prezzo dovrà derivare da molteplici fattori (price cap dinamico).
L’altro “drive” dei mercati, in questo momento, oltre alla crisi energetica, è la politica monetaria da parte delle Banche Centrali. Come noto, negli ultimi mesi, soprattutto sulla sponda americana, abbiamo assistito ad una veloce correzione (dopo “la dormita” iniziale, durata qualche mese) delle condizioni del mercato, con i tassi passati a livelli che non si vedevano da oltre 15 anni. Una fase, però, che sembrerebbe vicino alla sua conclusione: i mercati danno ormai per acquisiti ulteriori 2 rialzi da qui alla fine dell’anno (il primo, probabilmente giovedì, dovrebbe vedere la BCE decidere un nuovo ritocco dello 0,75%), mentre il “dopo” è tutto da scrivere. Però potrebbero essere un primo indizio le parole di ieri del Presidente della FED di S. Francisco, Mary Daly, secondo la quale “è il caso di iniziare a parlare di un rallentamento del ritmo del rialzo dei tassi”. Affermazione avvalorata, per quanto riguarda la zona €, dai dati resi noti ieri in Germania, dove l’indice PMI, nel mese di ottobre, è ulteriormente calato, scendendo a 45,7 punti dai precedenti 47,8, ben sotto la soglia di 50 puntiche segna lo spartiacque tra crescita e contrazione economica. Fatto sta che ieri è stata, per i mercati occidentali, una nuova giornata positiva, con l’indice MIB ancora una volta tra i migliori, portando il rialzo, per il mese di ottobre, ad oltre il 9,5%.
Discorso molto diverso per il mercato cinese, che ieri ha conosciuto una giornata difficilissima, con Shanghai che è arrivata a perdere oltre il 2%, mentre Hong Kong ha conosciuto una delle giornate più pesanti, facendo registrare un calo del 5,5%, che ha riportato il listino ai valori del 2009. Al di là dei dati puramente macro, con una crescita sì superiore alle attese, ma molto inferiore alle stime del Governo, a preoccupare gli operatori la svolta “illiberale” del Presidente Hi Jinping, che si è circondato di fedelissimi (a volte con poca esperienza, e quella poca non tra le più positive, come Li Qiang, assurto a n. 2 della Politica cinese, seppur, come Capo del Partito a Shanghai, non si sia certo dimostrato all’altezza nella gestione dell’emergenza Covid in quella che è forse la più grande megalopoli cinese, con oltre 25ML di abitanti), tacitando senza speranza le opposizioni.
La giornata si apre con i mercati asiatici alla ricerca di stabilità, con Shanghai intorno alla parità e Hong Kong in lieve rialzo (+ 0,23%). La positiva chiusura di Wall Street di ieri sera (Nasdaq + 1,06%, Dow Jones + 1.34%, S&P 500 + 1.19%) sostiene Tokyo, il cui indice Nikkei segna un rialzo dell’1%.
Futures ben impostati ovunque, con rialzi tra lo 0,30 e lo 0,50%.
Petrolio in leggera risalita, con il WTI a $ 85 (84,99, + 0,37%).
Gas naturale Usa di nuovo sopra i $ 5 (5,222).
Procede sempre stancamente l’oro, a $ 1.656,70, + 0,06%.
Continua il recupero dello spread, a 221,9, allineato all’andamento generale, che vede un restringimento dei tassi: BTP a 4,56%, – 16 bp rispetto alle quotazioni di ieri.
Treasury a 4,20%, – 4 bp.
€/$ a 0,9873, con l’€ in leggero recupero.
Stabile il bitcoin, a € 19.355.
Ps: in questi mesi è un continuo parlare di crisi: crisi energetica, crisi economica, crisi geo-politica, etc. Ma c’è un settore che da anni sta soffrendo una crisi che sembra irreversibile: il cinema. Da quando è scoppiata la pandemia, le sale (in continua diminuzione) si sono svuotate e fanno una fatica tremenda riempirsi. Un po’ ovunque, a dire il vero, ma in Italia di più. Si pensi che dal 2019 al 2021, da noi gli spettatori sono diminuiti del 75%. Un po’ meglio nel resto dell’Europa (Gran Bretagna – 57%, Germania – 64%, Francia – 54%), ma comunque un calo tremendo. Con gli incassi passati, nel nostro Paese, da circa € 750 Ml annui agli attuali 170 ML. Numeri che lasciano poco spazio ai sogni. E se c’è una cosa in cui il cinema è fondamentale è nell’aiutare a sognare.