Inizia oggi l’autunno, e tutti speriamo che non sia premonitore di un inverno rigido.
La vera “stagionalità”, però, inizierà il 1° ottobre, data in cui è stato convenzionalmente fissato l’inizio dell’anno termico. A fine settembre, infatti, scadranno i vecchi contratti per il settore delle utilities. Molti operatori non sono riusciti ad ottenere un rinnovo, mentre altri hanno dovuto accettare minori forniture a condizioni però molto peggiori, con prezzi nettamente superiori e modalità di pagamento che potrebbero rivelarsi insostenibili in considerazione degli anticipi da versare o, comunque, saldi da versare in tempi brevissimi. L’associazione che riunisce circa 450 società operanti nel settore stima che almeno 70 (tra cui anche municipalizzate di medie dimensioni, come quelle di Catania, Voghera, Casale Monferrato, per non parlare di Dolomiti Energia) sono a rischio collasso. Un rischio oramai ben più che teorico, che potrebbe letteralmente “chiudere i rubinetti” a molte famiglie e imprese. Peraltro, grazie alla “rete di protezione” già prevista, nessuno resterà al freddo e al buio: per i cittadini e le aziende eventualmente coinvolti, infatti, rientreranno nel “servizio di tutela”. Che, però, qualche disagio lo causerà, con un aggravio di costi anche non indifferente (spesso le municipalizzate più piccole, per strappare quote di mercato ai grandi players – tipo Eni, Enel, A2A, etc – fanno offerte molto aggressive, spesso con a prezzi bloccati, condizioni che il servizio di tutela non è in grado di garantire). Nel caso in cui dovessero esserci default, le forniture di gas, per i primi 6 mesi, saranno garantite da Snam, mentre successivamente si passa ai cosidetti “fornitori di ultima istanza” (per il 2022-2023 Enel Energia ed Hera), selezionati circa un paio di anni fa tramite una gara pubblica.
Il problema, come ben possiamo immaginare, non è solo italiano, ma coinvolge molti Paesi europei. Il paradosso è che, dopo anni di liberalizzazioni e libero mercato, si torni al “centralismo”, con molte aziende che, per essere salvate, potrebbero essere nazionalizzate. Con costi non indifferenti per i cittadini: secondo Rabobank, la principale banca olandese, il costo, a livello UE, potrebbe toccare € 155MD.
In Francia, per esempio, nei giorni scorsi il Governo ha annunciato la “messa in sicurezza” di EDF, portando la partecipazione, che già era all’84%, al 100%, con una spesa di € 9,7MD. Stessa fine che toccherà a Uniper, il più grande importatore di gas della Germania: il Governo tedesco arriverà a controllare il 78% della società, con un impegno finanziario che potrebbe costare € 29 MD. Ma il problema non riguarda soltanto Uniper: anche altre 2 società (Ving e Sete, l’ex Gazprom Germany Gmbh) stanno per alzare “bandiera bianca”. In Austria versa in condizioni simili Wien Energie, la maggior società energetica austriaca, per il cui salvataggio servono € 6MD. Nella sola Gran Bretagna viene calcolato che l’intervento statale potrebbe toccare la cifra “monstre” di € 45MD, coinvolgendo 5 tra le maggiori società energetiche, tra cui British Gas e E.On. In Spagna Hola Luz e Suop potrebbe richiedere l’intervento “dell’ombrello statale”, così come Fortum in Finlandia o Enea e Tauron in Polonia.
Insomma una “guerra nella guerra”, che si aggiunge alle manovre di bilancio eccezionali che tutti i Governi sono chiamati a varare per salvare le famiglie più povere e le aziende in crisi di liquidità per il caro bollette. Proprio ieri l’Olanda ha varato un piano da € 18 MD, che prevede l’aumento del 10% del salario minimo e delle pensioni a partire da gennaio 2023, con i prezzi di gas ed elettricità saliti di oltre il 151% in un anno. Un paio di settimane fa era toccato alla Germania, con uno stanziamento extra di € 65 MD, che porta a € 95 MD le risorse complessivamente dedicate alla crisi energetica, mentre, come noto, la settimana scorsa il Governo Draghi ha approvato il Decreto aiuti “ter”, per circa € 14MD, in aggiunta al Decreto aiuti bis del valore di circa € 18MD.
Ma tutto fa pensare che non sia finita qui…
Intanto ieri i mercati hanno reagito in maniera abbastanza scomposta alla decisione della Banca Centrale Svezia, che con una decisione a sorpresa, ha spiazzato gli investitori, aumentando i tassi non dello 0,50%, come atteso, di ben l’1%. Scelta che ha creato un certo “scompiglio”, generando timori che oggi la FED possa in qualche modo seguirla: e quindi, anziché il previsto 0,75%, possa spingersi sino all’1%. Condizionando, a sua volta, la Bank of England, chiamata a pronunciarsi giovedì, che, a quel punto, non potrà esimersi da un rialzo dello 0,75% anziché dello 0,50% stimato.
Le reazioni più negative, peraltro, più che gli indici di borsa, hanno colpito le obbligazioni, i cui rendimenti continuano a crescere, toccando livelli che non si vedevano dal quasi 10 anni a questa parte. E’ il caso del nostro BTP, che ieri rendeva il 4,17%, massimo dal 2013. O, peggio, del bund tedesco, all’1,92%, massimo dal 2014. Negli USA treasury al 3,55%, massimo dal 2011, con il biennale al 3,96%, top dal 2007. E i gilt inglesi a 2 anni sono al 3,345%, record dal 2008…Numeri che confermano il nervosismo e, soprattutto, le paure degli investitori: il timore è che le Banche Centrali si muovano un po’ “al buio”, affidandosi non a strategie di medio periodo (forward guidance) ma ai dati che di volta in volta “vengono fuori”, con reazioni che possono quindi sembrare emotive e non guidate da precise linee guide. E l’incertezza, come ben sappiamo, è il peggior nemico dei mercati.
Chiusure negative, quindi, ieri sera a Wall Street, per quanto lontane dai minimi di giornata.
In Asia questa mattina troviamo il Nikkei a – 1,36%, mentre cerca il recupero Hong Kong, che si sta allontanando dai minimi (siamo a – 1,12%). Shanghai, dopo un avvio negativo, si è portato, seppur di poco (+ 0,17%)in territorio positivo.
Si muovono intorno alla parità i futures, mentre, ovviamente, crescono le attese per le decisioni della FED.
Petrolio (WTI) questa mattina in crescita dell’1,18% ($ 85,02).
Gas naturale Usa a $ 7,849 (+ 1,50%).
Prova a risalire la china l’oro, a $ 1.673, + 0,63%.
Spread in restringimento (220 bp), ma il forte rialzo del bund tedesco, come detto, penalizza il ns BTP, vicino al 4,20%.
€/$ sempre appena sotto la parità (0,9986).
Bitcoin che cerca di rimanere “aggrappato”, con qualche difficoltà, a quota $ 19.000 (18.849, – 2,81%).
Ps: in questi giorni il nostro Premier Draghi, come quasi tutti i Capi di Stato e di Governo, è a New York per l’Assemblea ONU. Ai margini della quale ha ricevuto l’ennesimo premio (Appeal of Conscience). Questa volta a confermare le straordinarie capacità del nostro Presidente del Consiglio e la sua integrità morale è stato Henry Kissinger, che sulla soglia dei 100 anni di età continua ad essere uno dei politici più ascoltati in America. Se da una parte la cosa può inorgoglirci, dall’altra non può che provocare, ancora e sempre, delusione e grande, grandissimo rammarico. Ma com’è possibile che “abbiano mandato a casa” l’uomo che tutto il mondo ci invidia….?