I “giochi” (su Telecom) sono solo agli inizi. E non poteva che essere così: troppo importante e strategico, infatti, è il settore delle telecomunicazioni per pensare che fosse sufficiente una proposta, per quanto, a prima vista, piuttosto vantaggiosa rispetto ai valori di mercato, perché la “partita” si chiudesse subito. Fermo restando, ancora una volta, che la definizione di vantaggiosa o meno è sempre relativa: senza dubbio può essere ritenuta tale verso un valore di mercato (a venerdì) ai minimi storici per la società “ex monopolista” (il premio che il fondo americano KKR ha offerto è equivalente al + 46% sul prezzo di venerdì scorso, arrivando a valutare il titolo € 0,505), ma che indubbiamente è molto lontana verso, per esempio, a quanto Vivendi, maggior azionista, con il 23,8% del capitale, aveva pagato la singola azione (€ 1,07). Che non a caso si è subito detta contraria all’operazione, ritendendo insufficiente quanto messo sul piatto. Senza contare che il 2° azionista, la Cassa Depositi e Prestiti (controllata dal Ministero del Tesoro) ha pagato la propria partecipazione ad un valore medio di 65/70 centesimi per azione (e quindi il doppio verso i valori di venerdì).
Per non parlare, poi, della “politica”, che non poteva rimanere indifferente, con i partiti che “affilano le armi”, pronti a fronteggiarsi su un tema che già in passato è stato protagonista di battaglie cruente. Tema, come detto, assolutamente delicato, tant’è vero che lo Stato italiano può avvalersi del Golden power, vale a dire la possibilità per il governo di opporsi, indipendentemente dall’entità della propria partecipazione societaria (in questo caso attraverso la CdP), all’acquisto da parte di soggetti terzi di imprese considerate strategiche.
Cominciano quindi a farsi largo diversi ipotesi e tante congetture.
Si va dalla più semplice (una nuova offerta al rialzo da parte del Fondo americano) alle più fantasiose e complesse (ipotesi “spezzatino”).
La prima si basa su una mera valutazione degli asset attuali (e dei debiti) direttamente e indirettamente controllati dalla società (che detiene il 66,6% di TIM Brasil, per un valore di circa € 3MD, oltre al 15,4% di Inwit, la società che gestisce le “torri” su cui viaggia la rete, per altri € 1,5 MD): in base a questo “metro”, il valore stimato sarebbe di almeno il 10% in più, per cui si arriverebbe a € 0,55 per azione.
Se invece si andasse verso una “frammentazione” del gruppo, frazionandolo in una società che gestisce i servizi e una per le infrastrutture, arrivando magari all’integrazione con Open Fiber per realizzare la “rete unica”, con evidenti sinergie, si potrebbe arrivare ad un valore di € 0,85, molto più vicino a quanto pagato da Vivendi e circa il 25% in più di quanto pagato da CdP. E sappiamo che, alla fine, il prezzo “conta”.
Certamente, la strategicità delle attività di Telecom sarà centrale per determinare la soluzione. Oltre alla rete, come accennato poco sopra, almeno 3 sono le società chiave: Sparkle, la rete dei cavi internazionali, Noovle, data center e cloud, e Telsy, sicurezza informatica. Su queste si giocherà il futuro della società e, quindi, il puzzle delle partecipazioni. E su queste il Governo non potrà limitarsi a “osservare” e fare da “guardia”.
“L’affaire” Telecom non può peraltro far perdere di vista quanto sta accadendo nel nostro Paese e nel mondo, a partire dall’emergenza sanitaria. Emergenza che sta portando a nuovi provvedimenti restrittivi, dal super green pass alla 3° dose anticipata da 6 a 5 mesi. Ben sapendo che da noi va comunque meglio rispetto ad altri Paesi a noi vicini.
Dagli USA arriva la notizia che il Presidente Biden ha sciolto la riserva sulla nomina del Presidente della FED, riconfermando l’attuale Governatore Jerome Powell, riservando all’altra candidata Lael Brainard il ruolo di Vice. Una decisione che sembra quasi un atto di riconoscenza per quanto fatto in questi anni, nonostante “l’appartenenza” politica di Powell: non va dimenticato, infatti, che, seppur eletto da Trump (e quindi vicino allo schieramento Repubblicano), il Presidente della FED più volte è andato in scontro con il precedente Presidente, assumendo provvedimenti assolutamente contrastanti con la volontà politica di “the Donald”.
La conferma di Powell alla guida della Banca Centrale americana non poteva non riverberarsi sui mercati. Non appena arrivata la notizia, ieri sera Wall Street ha invertito la rotta, con il Nasdaq che dal + 1% di avvio seduta ha chiuso a – 1,16%, mentre il Dow ha chiuso sulla parità. Il cambio di tendenza sembra più una reazione emotiva che non una presa di posizione motivata da effettive preoccupazioni sulle prossime svelte della FED. Infatti, la “linea” sembra già delineata, come più volte ricordato, con l’avvio del tapering (e quindi la diminuzione degli acquisti di titoli per € 15 MD mese da qui a giugno 2022), nonché il probabile duplice rialzo dei tassi USA a partire sempre dal prossimo giugno. Indubbiamente la Brainard ha fama di “colomba”, e quindi vista con occhio forse più benigno dai mercati, senza contare la sua fede politica democratica che, sotto certi aspetti, la potrebbe far sembrare più “controllabile” dal Presidente Biden.
In Asia, chiusa Tokyo per festività, Shanghai si appresta a chiudere intorno alla parità, mentre Hong Kong , ancora una volta, è in “rosso” (– 1,21%), nuovamente schiacciato dai titoli tecnologici.
Futures che lasciano prefigurare un’apertura negativa su tutte le piazze, con cali nell’ordine dello 0,30-0,50%.
Petrolio ancora in discesa, con il WTI a $ 76,12 (- 0,91%). A incidere sul prezzo le voci che parlano di un “rilascio” (e quindi dell’utilizzo) da parte di molti Paesi (tra cui USA, Giappone e Cina) delle proprie riserve strategiche.
In ripresa il gas naturale, che si riporta verso i $ 5 ($, 4,89, + 1,94%).
Nuovo calo per l’oro, che si riporta sulla soglia dei $ 1.800 ($ 1.809), anche se questa mattina da segnali di tenuta.
Scivola lo spread, che si porta a 124 bp, con il BTP che si riavvicina ad un rendimento dell’1%.
Treasury che balza a 1,63% (da 1,54%) sempre in scia alla riconferma di Powell. Sale anche il rendimento del biennale, che fa segnare 0,63%, massimo da inizio anno, anche a conferma dei timori sull’inflazione di breve.
Sempre forte il $, con €/$ a 1.125.
Non si ferma l’arretramento del bitcoin: questa mattina lo troviamo appena sotto i $ 56.000, in calo del 2,4%.
Grazie come sempre per l’attenzione.
Ps: e quindi anche un “cartoon” che ha segnato un’epoca e accompagnato la crescita di milioni di ragazzi in tutto il mondo pare che sia arrivato al “capolinea”. I Simpson, in onda dal 1989 (in Italia dal 1991) finiranno, si dice, entro il 2023. Per quella data gli episodi andati in onda saranno stati 757 (ogni stagione è fatta da 20-22 episodi). In un mondo di “super eroi”, si sono distinti per la loro evidente inettitudine. Ma il mondo, ben lo sappiamo, non è fatto solo di super eroi…