Nelle ultime settimane, come più volte abbiamo ricordato, si sta facendo largo la preoccupazione di un ritorno della stagflazione, “scomparsa” dai radar ormai dagli anni 70, guarda caso anche quelli “funestati” da una grave crisi energetica (molti di noi ricordano le domeniche a piedi, trasformate in “domeniche ecologiche”, sebbene fossero appena nati, probabilmente, i genitori di Greta Thunberg…). Alcuni indicatori sembrerebbero dar ragione a chi ritiene che il binomio inflazione-rincaro materie prime non possa non provocare conseguenze gravi, che porteranno non solo ad un rallentamento dell’economia, ma ad una vera e propria recessione, con caduta dei consumi e repentino aumento della disoccupazione.
Uno di questi è l’andamento dei tassi. Se guardiamo alla curva di quelli USA, per esempio, notiamo che la “forbice” tra quelli a “breve” (per es il treasury a 2 anni)e quelli “lunghi” (il trentennale), negli ultimi giorni si è molto “ristretta”: il tasso a breve, infatti, è cresciuto, passando dallo 0,32% allo 0,42%. Nello stesso periodo, quelli “a lunga”, sono diminuiti, scendendo dal 2,16% al 2,03%. In termini di “differenziale”, siamo passati, in una decina di giorni, dall’1,85% all’1,61% (in gergo, la curva si è “appiattita”).
Cosa significa? Gli investitori ritengono che nel breve termine siamo di fronte ad un’economia “surriscaldata”: in altre parole, i tassi, vuoi per movimenti “normali” vuoi, soprattutto, per le attese di interventi, da parte delle Banche Centrali, tesi a “raffreddare” la spirale inflazionistica, sono destinati a salire, spingendo quindi a vendere i titoli a breve termine, puntando sul fatto che le nuove emissioni avverranno a condizioni migliori (per gli investitori). Di contro, i tassi a lunga scontano un rallentamento economico, indotto dalla permanenza di un livello di inflazione maggiore delle attese (e per un periodo più lungo)e con le Banche Centrali che, per “tenerla sotto controllo”, saranno costrette a politiche piuttosto “restrittive” (esattamente il contrario di quanto è avvenuto negli ultimi anni e, con particolare evidenza, negli ultimi 20 mesi segnati dal Coronavirus).
Peraltro, alcuni sostengono che il rischio stagflazione sia uno scenario che difficilmente si realizzerà: lo testimonierebbero, secondo i sostenitori di questa tesi, il forte rimbalzo delle varie economie e il fatto che l’appiattimento della curva è dovuto più che altro all’acquisto di titoli a lunga scadenza, che ne fanno salire il prezzo e scendere il rendimento, in quanto il mercato da per scontato l’intervento delle autorità monetarie, che inizieranno a diminuire gli stimoli monetari sin qui largamente utilizzati, passando da una politica fortemente accomodante ad una più rigorosa. Si privilegiano, quindi, i titoli più a lunga scadenza, che risentono maggiormente del “cambio di passo”.
Anche sul fronte economico, peraltro, si intravvedono segnali che inducono a qualche pensiero.
E’ di ieri il dato sullo stato dell’economia cinese, con il PIL del 3° trimestre, che è si cresciuto, ma molto meno del trimestre precedente, e anche delle attese. Siamo passati, infatti, dal + 7,9% al + 4,9% (il 1° trimestre aveva fatto segnare uno straordinario + 18%), con una crescita dell’economia, rispetto al trimestre precedente, di un modesto + 0,2% su base annua.
A pesare diversi fattori: la crisi del settore immobiliare, esplosa con la drammatica situazione di Evergrande; la crisi energetica, che ha colpito anche la Cina, costringendo molte aziende a ridurre l’attività produttiva, con gli stabilimenti che andavano “a singhiozzo”; la volontà politica di colpire molte aziende del settore tech (Alibaba, Tencent, Meituan), “colpevoli” per il Governo di non tenere nella giusta considerazione la privacy dei consumatori e, soprattutto, aver esposto il Paese a rischi finanziari; infine, i continui “lockdown” a seguito dell’obiettivo di “zero casi Covid”, per cui, non appena viene segnalato un caso, si mettono in atto tempestive e rigorosissime chiusure locali.
Ora, trattandosi di una delle più grandi economie al mondo, seconda (per il momento…)solo a quella statunitense, è ovvio che qualsiasi lettura si dia ai dati che vengono comunicati non possono non influenzare “gli umori” di operatori e investitori.
Nella notte borse asiatiche tutte toniche: Hong Kong, trascinata dai titoli tecnologici, è in salita di circa 1,5%. Shanghai è vicina all’1%, mentre Tokyo guadagna circa lo 0,9%.
Futures tutti in territorio positivo, con rialzi compresi tra lo 0,20% e lo 0,30%.
Sul fronte dell’energia, petrolio ancora in rialzo, con il WTI che tocca i $ 82,36 (+ 0,71%). Scende sotto i $ 5, invece, il gas naturale (- 0,30%).
In crescita l’oro, che si porta a $ 1.778 per oncia.
Balzo dell’€ vso $: questa mattina il cross €/$, infatti, indica 1,165 dall’1,159 di ieri.
Spread a 103,7 bp, con il BTP sempre intorno allo 0,90%.
Per concludere, come sempre, il bitcoin, che questa mattina si conferma sui valori di ieri, a $ 62.000 circa.
Buona giornata.
Ps: succede negli USA. Domani parte la NBA. Uno dei giocatori più forti e noti al mondo, da anni protagonista del Campionato forse più noto al mondo, Kyrie Irving, ad oggi si è rifiutato di vaccinarsi. Lo stato di New York, sede della sua squadra, i Brooklyn Nets, tra le favorite alla vittoria finale, vieta ai non vaccinati di giocare (non la NBA). Di conseguenza Irving, il cui ingaggio supera i $ 34ML, è stato messo fuori squadra, e quindi senza stipendio. Questo succede, appunto, negli USA.